mercoledì 29 agosto 2007

Repubblica 29.8.07
L’intervista
Il leader di Rifondazione: "C'è il tentativo di stravolgere il programma concordato. A questo punto Prodi deve battere un colpo. "
"Rutelli non garantisce la coalizione"
Giordano: "Pronti a ridiscutere l'esecutivo. Walter? Accetto la sfida"
di Giovanna Casadio

Neocentrismo. Il vicepremier ha un progetto per nulla innovativo, vecchio, viziato da un estremismo neocentrista. Noi siamo pronti a ricontrattare punto per punto, compresa però la composizione dell´esecutivo
La sinistra. Chiedo a tutte le forze della sinistra: se non costruiamo l´unità oggi, quando la faremo? Serve un soggetto unitario e plurale In ottobre andremo in piazza per rilanciare i punti programmatici dimenticati
"Francesco gioca una partita interna al Pd, ha la difficoltà di chi rischia di non aver più ruolo"
"Critico Veltroni, i riformisti stanno costruendo un soggetto muto di fronte ai poteri forti"

ROMA - «Uno come Francesco Rutelli che critica così radicalmente questo governo, a quale titolo fa il vice premier?». Ritagli di giornali e alcune pagine fitte di appunti sparsi sul tavolo, Franco Giordano prepara negli ultimi giorni di vacanza in Umbria la controffensiva di Rifondazione. E comincia dall´attacco alzo zero al vice premier «non più garante della coalizione». «Chi destabilizza il governo e l´Unione non siamo noi, ma il leader della Margherita. Del resto, se lui vuole ridiscutere il programma, non mi spavento. Però ridiscutiamo anche la composizione del governo».
Segretario Giordano, la sinistra massimalista mette in difficoltà l´esecutivo con il suo «conservatorismo», come sostiene Rutelli che progetta alleanze di "nuovo conio"?
«Quanto va dicendo Rutelli è imbarazzante. Lancia invettive contro la sinistra ma ha come bersaglio il governo di cui è incredibilmente il vice premier. Parla dell´esecutivo come di uno stato di necessità, della coalizione manca poco che aggiunga "purtroppo dobbiamo sorbirci questa disgrazia". Il suo vero obiettivo è lavorare a una prospettiva del tutto diversa dall´attuale, tant´è che punta ad anticipare un programma radicalmente diverso da quello che abbiamo costruito tutti insieme. Qui c´è l´elemento di pericolo».
Pericolo per chi?
«Il suo vero bersaglio è Prodi, altro che minoranze aggressive. Gli voglio dire: caro Rutelli cerca di avere più rispetto delle minoranze, proprio tu che conduci una battaglia interna al Pd da una posizione di minoranza. Quello italiano è l´unico governo di coalizione in Europa ad avere un premier e due vice premier dello stesso partito di cui uno, Francesco Rutelli, critica il governo stesso.
Cos´è la sua, un´ingiunzione di sfratto a Rutelli?
«Fino a quando il programma non era messo in discussione, noi che non siamo avvezzi a dinamiche di potere, non abbiamo mai posto un problema. Ma oggi un problema si pone: si vuole cambiare in corsa il programma? Non mi spavento, siamo pronti a ricontrattare punto per punto, ma allora si ridiscuta anche la composizione del governo».
Non crede che ci sia una necessità obiettiva di modernizzazione del paese, dalla riforma previdenziale al welfare?
«L´impianto programmatico di Rutelli non è per nulla innovativo; è vecchio, viziato da un estremismo neocentrista. L´instabilità è provocata da Rutelli in forme così violente e aggressive da minare la coalizione e il suo impianto programmatico. A questo punto Prodi deve battere un colpo. Noi chiediamo al presidente del Consiglio di esercitare un ruolo».
Intanto scendete in piazza a protestare contro il governo di cui fate parte? Rifondazione pensa anche a un appoggio esterno?
«Pensiamo alla manifestazione del 20 ottobre che, lo dico a coloro che sono stati scettici, ha un´impostazione programmatica e rappresenta il tentativo di ricostruire un rapporto con il popolo che ha fatto vincere il governo Prodi. Quel popolo che sente su di sé la delusione per le spinte neocentriste che animano la costruzione del Partito democratico e per tutti i veti che ne stanno venendo».
Quali veti?
«Qualcuno ha mai più sentito parlare di diritti civili dopo il veto dei neocentristi sui Dico? Qualcuno si sta accorgendo che Fioroni vuole dare risorse paritarie finanziarie alle scuole private? Ci si rende conto che non solo sulla "legge 30" di cui tanto di parla ma anche sui contratti a termine e sugli straordinari si è fatto un bel regalo a Confindustria? Che sulla vicenda dello scalone previdenziale abbiamo solo lenito le sofferenze dell´effetto-Maroni? È il momento di dire basta e di riprendere la connessione sentimentale con il nostro popolo».
Autunno caldo, quindi?
«Estate torrida, direi, nella quale c´è stato un disimpegno della politica dei riformisti a incidere concretamente nei processi economico-sociali. Su temi rilevanti è la Confindustria che alza la voce e chiede meno tasse dopo avere intascato da questo governo cinque miliardi di riduzione del cuneo fiscale e altri cinque provenienti da mille rivoli legislativi. Il Pd sta zitto e si scandalizza quando, a fronte di un aumento delle entrate, si pone il problema della ridistribuzione del reddito. Non so quali ambienti frequentino i coraggiosi di Rutelli ma proprio Repubblica ha scritto che le famiglie italiane sono indebitate per metà del proprio reddito. Ho scoperto da un´inchiesta di Mediobanca che tra il 2002 e il 2006 i 38 gruppi industriali italiani più importanti hanno aumentato da 79 a 107 miliardi di euro il valore aggiunto aggregato prodotto nell´anno mentre il lavoro ha perso incidenza in quelle stesse aziende di dieci punti in meno».
Rifondazione comunista è contro Rutelli ma anche contro Veltroni, che ha una strategia simile?
«Rutelli sta giocando una partita interna al Pd, ha le difficoltà di chi rischia di non avere più un ruolo. Walter Veltroni lo critico, non condivido, ma propone una sfida che accetto. La sinistra antiliberista pacifista e laica è il campo dell´innovazione mentre i riformisti stanno costruendo un soggetto muto di fronte ai poteri forti».
L´unità a sinistra però non decolla?
«Chiedo a tutte le forze della sinistra: se non ora, quando? Bisogna costruire un soggetto unitario e plurale. E la sinistra non è solo discussioni, adesioni bensì partecipazione. Saremo in piazza in ottobre per rilanciare i punti del programma dell´Unione messi in ombra in questi ultimi mesi».

Repubblica 29.8.07
La Chiesa possiede 100 mila fabbricati in Italia, molti destinati ad attività economiche, per un'Ici non versata di 2200 milioni
Un "tesoro" immobiliare da 9 miliardi
Così l'Erario agevola scuole, case di riposo e ospedali
di Luca Iezzi

Gli ostelli e le pensioni gestite da religiosi garantiscono 250 mila posti letto, 40 milioni di presenze e un giro d´affari di 5 miliardi
Nel corso degli anni si è assistito a un braccio di ferro tra i sindaci e gli enti religiosi che tentavano di allargare le esenzioni

ROMA - L´Europa sospetta che l´Italia abbia un occhio di riguardo per "l´azienda Chiesa" e le conceda un regime fiscale agevolato rispetto ai concorrenti laici. La commissione Ue non mette in dubbio le prerogative temporali concesse alla Chiesa cattolica come la totale esenzione Irpef per i dipendenti del Vaticano. Il problema nasce per le attività economiche collegate a quella pastorale e in almeno quattro i settori la Chiesa è leader nazionale: immobiliare, turismo, sanità ed educazione privata. Visti gli sgravi su Ici, Ires, Irap il dubbio dell´aiuto di Stato assume consistenza.
Ici. Tutto nasce dall´immenso patrimonio immobiliare: impossibile definirlo con certezza, le stime dicono 100 mila fabbricati per 8-9 miliardi di euro di valore. Riducendo l´analisi a realtà più piccole, ma rappresentative, come Roma, l´elenco è impressionante: 550 tra istituti e conventi, 500 chiese, 250 scuole, 200 case generalizie 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 25 case di riposo e ospizi, 18 ospedali. Sono quasi 2 mila gli enti religiosi residenti e risultano proprietari di circa 20 mila terreni e fabbricati. Va ricordato la legge istitutiva dell´Ici esentava i luoghi di culto e le loro pertinenze per cui alcune non sono mai state nemmeno segnalate ai comuni. Nel corso degli anni si è assistito a un braccio di ferro tra i sindaci e gli enti religiosi che tentavano di allargare a dismisura il perimetro delle esenzioni (alloggi di religiosi, sedi di fondazioni, opere pie, ospedali, università). Nei contenziosi i Comuni avevano avuto il sostegno della corte di Cassazione che dal 2004 ha chiarito che se in un fabbricato si svolgeva un´attività commerciale doveva pagare l´imposta. Il governo Berlusconi aveva esentato tutti gli immobili posseduti da enti religiosi no profit scatenando le proteste (e un primo interesse dell´Ue). Ora la legge colpisce solo locali utilizzati "esclusivamente" per attività commerciali. Una formulazione che lascia molto spazio al proprietario che autocertifica l´uso ai fini dell´Ici. La nuova formula secondo l´Ares fa perdere ai comuni 2,2 miliardi di euro. «Per Roma è meno di 20 milioni - stima Marco Causi assessore al Bilancio del comune - e conteranno molto gli accertamenti f caso per caso, i contenziosi non sono molti e con questo tipo di contribuenti cerchiamo soluzioni condivise». Anche se il direttore di Roma Entrate Andrea Ferri spiega: «La normativa non aiuta ad evitare i contenziosi, ci sono casi di uso "promiscuo" commerciale e no-profit in cui l´attività a scopo di lucro è evidentemente preponderante».
Ires. Conventi, palazzi e condomini sono diventati sedi di cliniche, scuole e soprattutto alberghi. Se l´attività è svolta da enti di assistenza e beneficenza l´Ires scende del 50% (esenzione totale se il reddito è generato da un immobile di proprietà diretta del Vaticano). Un bel vantaggio per chi opera nel turismo. E anche in questo caso Roma si è trasformata l´epicentro di un impero: il turismo religioso genera un fatturato di 5 miliardi l´anno con 40 milioni di presenze. In tutta Italia preti e suore gestiscono 250 mila posti letto. L´attività è considerata meritoria tanto che il governo ha stanziato 10 milioni di euro per la promozione degli itinerari della fede. Con un ulteriore facilitazione: le organizzazioni no-profit collegate a entità religiose mantengono la qualifica a vita senza dover ogni anno presentare bilanci certificati e senza correre il rischio di vedersi negata dallo Stato la qualifica per inadempimenti formali o sostanziali (come appunto la generazione di profitti).
Irap. Infine sul fronte del costo del personale le retribuzioni corrisposte ai sacerdoti dalla Chiesa cattolica, non costituiscono base imponibile ai fini dell´Irap, ma per ognuno di loro le associazioni possono dedurre una quota nella determinazione del reddito d´impresa.

Repubblica 29.8.07
L’evoluzione sul palmo della mano
Dalla scimmia all'uomo: ecco il gesto che ha dato il via al linguaggio
di John Tierney

Un nuovo studio Usa sull'origine della comunicazione
Si tratta di una mossa comune a umani e primati
"È l´anello mancante dello sviluppo della lingua"

ATLANTA - Gli scimpanzè, accorgendosi della presenza degli esseri umani in un angolo del loro recinto, vengono da noi con le braccia tese e i palmi rivolti verso l´alto. È il loro modo di chiederci una banana, e anche molte altre cose, come hanno scoperto i ricercatori del Centro Yerkes per la ricerca nazionale sui primati di Atlanta.
Quel semplice gesto, il palmo rivolto in alto, è uno dei segnali più antichi del mondo e si trova a tutte le latitudini. Viene attivato da circuiti neurali ereditati dagli antichi rettili, che si prostravano di fronte ad animali più grandi. Gli scimpanzè e altre scimmie, primi fra tutti gli esseri umani, lo adattarono usandolo per chiedere, oltre che cibo, anche forme di aiuto più astratte e dando così vita a un segnale di tipo nuovo, che secondo alcuni ricercatori è all´origine del linguaggio umano.
Se l´origine dell´eloquenza umana può essere ricondotta a un messaggio primitivo che significa «dammi», forse siamo creature sociali, che sono sopravvissute e hanno saputo prevalere su animali più forti di loro imparando a procurarsi la cooperazione degli altri. O forse semplicemente, nel profondo del nostro cuore, siamo tutti scansafatiche. Il significato del gesto è evidente, sia con un palmo solo, la tipica posa «Fratello, ce l´hai qualche moneta?» dei mendicanti di tutto il mondo, sia con tutti e due i palmi, la posa favorita dai predicatori, che sollecitano l´assistenza divina. O da un regista hollywoodiano esasperato che si alza dalla sedia coi palmi rivolti verso l´alto per implorare i suoi attori: «Datemi una mano, ragazzi!».
Il palmo rivolto in su è quello che l´antropologo David Givens, direttore del Centro per gli studi non verbali di Spokane, nello Stato di Washington, chiama un «sottoprodotto gestuale» dei circuiti del cervello che proteggevano i vertebrati milioni di anni fa. Di fronte a una minaccia, gli antichi lucertoloni istintivamente piegavano la spina dorsale e gli arti, schiacciando il corpo a terra e lanciando un segnale di sottomissione a un animale più grande. Questo accovacciarsi è l´opposto della posizione eretta e aggressiva, di uno stallone o di un gorilla che alzano il petto e la testa per sembrare più grandi. Di quell´accovacciarsi oggi negli esseri umani sopravvive l´alzata di spalle, con la testa che si abbassa e gli avambracci che ruotano rivolgendo in su il palmo delle mani. Per contro, la posizione eretta, di sfida, negli esseri umani persiste sotto forma di una rotazione degli avambracci e dei palmi delle mani nella direzione opposta.
Uno scimpanzè usa il gesto del palmo rivolto in su per chiedere ad altri suoi simili di dividere il cibo con lui, per domandare aiuto in un combattimento, per proporre di fare sesso o quando desidera una "seduta di spulciamento". «Queste osservazioni», dice Amy Pollick dell´Università di Emory, «ci hanno spinto a ipotizzare che i gesti avessero svolto la funzione di un gradino iniziale nella comunicazione tra i primi ominidi, forse l´embrione del linguaggio». Con l´evoluzione del linguaggio, gli esseri umani hanno cominciato a usare il gesto del palmo rivolto in su per esprimere concetti più complessi. Gli scimpanzè non sono altrettanto raffinati, ma sono in grado di capire il gesto «dammi» anche quando proviene da esseri che non appartengono alla loro specie.
«Guardando gli scimpanzè ho cominciato a pensare al palmo rivolto in su come ad una sorta di anello mancante della linguistica, ed è stato confortante pensare che avessimo ancora dei modi per comunicare con i nostri parenti», dice Frans de Waal dell´università di Emory.
(Copyright New York Times - La Repubblica. Traduzione di Fabio Galimberti)


Repubblica 29.8.07
I Trevi, psicanalisi e passioni
Un libro scritto a quattro mani
di Luciana Sica

Mario, terapeuta junghiano, ed Emanuele, scrittore. Padre e figlio si raccontano, si confrontano e si scoprono
L´infanzia di Emanuele con un papà molto impegnato è appena accennata
Il rapporto di Mario con Ernst Bernhard. Le doti necessarie per la terapia

«Ok, papà, inizia la tortura. La tua proverbiale riservatezza sta per subire un grave attentato. So che diffidi dell´idea di questa conversazione e del resto, in generale, sei una persona molto schiva. Ti definiresti una persona timida?»... Mario Trevi non si sottrae, com´è invece solito fare, appare fiducioso e disponibile, non delude le aspettative del figlio Emanuele: a qualunque sollecitazione reagisce con un senso di assoluta libertà, accentuando la spregiudicatezza intellettuale, con quella saggezza venata dalla pratica del dubbio, ma soprattutto con un sentimento vicino alla dolcezza e alla tenerezza paterna.
Quello che hanno in comune è l´odio più viscerale per ogni retorica, un senso spiccato dello humour, una certa leggerezza, l´ironia sottile. Ma se il padre è un signore disciplinato, un intellettuale con i fiocchi, il figlio è - come dire - un temperamento artistico, molto diretto e refrattario alle regole. Il padre, analista junghiano di prestigio indiscusso, autore di saggi importanti, ha ottantatré anni. Il figlio, critico letterario e scrittore apprezzato, di anni ne ha esattamente quaranta in meno.
Insieme firmano Invasioni controllate (Castelvecchi, pagg. 155, euro 15), un "libro-intervista" pervaso da un´intimità intensa seppure mai ostentata, dall´emozione di un figlio di scoprire di che pasta è fatto suo padre, di "stanarlo" dal suo riserbo che può farsi segretezza, di ripercorrere il suo mondo e le sue passioni. Ma anche la problematicità, le privazioni, la sofferenza.
È un lungo percorso, intellettuale e umano, ricostruito anche con fare scanzonato ma sempre con abilità raffinata, sostenuta non solo dall´ammirazione, ma anche da una specie di amorevole curiosità. Il risultato è un libro ricco di pathos, eppure lieve. Un padre e un figlio che sembrano avere un certo orrore della serietà, quando si fa cupezza, assenza di eros, d´immaginazione, di vitalità.
«Tu sei nato nel 1924, ad Ancona. Senza mai nominarla, Nanni Moretti ci ha ambientato un film, La stanza del figlio, dove lui - guarda le combinazioni! - interpreta molto bene la parte di uno psicologo, forse anche junghiano visto che non usa il lettino...».
Soprattutto nella prima parte del libro, è la vita privata di Mario Trevi a essere rievocata: la mamma cattolica perduta da bambino, il padre - un ebreo non credente, estroverso e avventuroso - , la casa d´infanzia nelle Langhe, la nonna amatissima, le due sorelle Vera e Mariù. L´inclinazione alla solitudine, la passione per i libri, qualche difficoltà tra i compagni di scuola «sempre irridenti, chiassosi, violenti. A giocare a pallone ero negato, una vera schiappa, come si potrebbe dire oggi?». «Sì, va bene schiappa, pippa...».
E poi l´orrore per le leggi razziali, la partecipazione alla Resistenza («per me è stata una vera e propria tragedia la perdita di uno zainetto con due libri di Montale! È successo nel periodo in cui stavo con i partigiani»). Più tardi l´insegnamento di storia e filosofia in un liceo di Formia, che procura un sentimento di acuta nostalgia. E ancora, l´incontro con la moglie nel ´62 - una psichiatra - e poi le inquietudini della figlia Betta - anche lei psichiatra, che a sua volta sposerà un collega, figlio di un allievo della Klein... Scherza Emanuele: «tranne me, che faccio un lavoro basato fondamentalmente sull´egoismo, la nostra è una vera famiglia di strizzacervelli... ci si potrebbe fare un telefilm!».
Naturalmente il fascino della psicoanalisi e il mestiere di analista hanno una parte rilevante. A cominciare dall´incontro - nel ´54 - con quello che sarà il maestro di Mario Trevi, il geniale e controverso Ernst Bernhard: «Certamente, non ci sono andato per un piacere intellettuale! Anche perché allora non mi potevo permettere il costo di un´analisi semplicemente per scoprire il mondo interiore. Io avevo bisogno di difendermi dai veri e propri assalti di una forma di depressione...». Molto si dice di quell´esperienza, e poi della relazione analitica più in generale, delle doti indispensabili per esercitare il mestiere di terapeuta. Ma c´è un aspetto che sembra interessare particolarmente Emanuele: che c´è di vero nel luogo comune secondo cui l´analisi inibisce la creatività? Niente, anche se Rilke non volle farsi visitare da Freud... Si cita il caso di Giorgio Manganelli, la sua frequentazione dello studio di Bernhard: «l´analisi sembra aver fatto esplodere in lui il grande scrittore visionario, che covava sotto le ceneri del sobrio professore di letteratura inglese».
È qui che Mario Trevi tira in ballo la questione delle invasioni controllate che darà il titolo al libro costruito col figlio. Dice: «Io stesso, pur non essendo uno scrittore, ho sentito in me la possibilità di veicolare forze creative, sconosciute. Questo non nell´immediato. Ma più tardi ho avuto la sensazione di essere, come dire, attraversato da vere e proprie invasioni da parte dell´inconscio. Invasioni in qualche modo, almeno in parte, controllate». Se l´inconscio è un´energia potente che può anche diventare una forza devastante, vale la pena farci i conti, senza identificarsi con la parte esclusivamente razionale della psiche, sapendo che in ognuno alberga anche il proprio opposto, capace di pulsioni aggressive: quello che Jung chiama "Ombra" e Conrad "il compagno segreto". Mario Trevi condensa la questione con una battuta folgorante: «L´inconscio non ascoltato è pericoloso perché se ne va per conto suo. E allora crea una situazione sospetta, temibile... da un momento all´altro può venire fuori come un´esplosione».
«Sfrondare Jung da Jung: questo è sempre stato il mio proposito», e senz´altro Mario Trevi è stato sempre molto critico con un certo junghismo svolazzante e deteriore. Non ha mai coltivato la mania per gli archetipi, e neppure subito la fascinazione dello junghiano più famoso del mondo, James Hillman, che «non può essere in assoluto sottovalutato», ma «è spesso molto... come dire? Deludente».
Non c´è però solo psicoanalisi in questo libro, tutt´altro. Ci sono le passioni letterarie di Mario Trevi - dalla lettura nell´infanzia di Peter Pan nei giardini di Kensington alle fiabe di Capuana, da Borges a Stevenson, a Proust - e poi l´attrazione per i pittori come Perilli e Dorazio. E poi i tanti pazienti "importanti" (di cui naturalmente non fa il nome) e gli amici celebri e carissimi, come Federico Fellini, «letteralmente ossessionato dall´idea di morire».
«In realtà, tu sei una persona molto metodica. Un ricordo che ho di quando ero piccolo è il rumore della macchina da scrivere che partiva puntualmente alle cinque di mattina...». «... mi avrai odiato». «... no, anzi, era un rumore rassicurante, un invito a rigirarsi nel letto, il segnale che l´ora della scuola era ancora lontana»: l´infanzia di Emanuele, con un papà già impegnato prima dell´alba, è appena accennata, ma la domanda arriva inevitabile: «è stato difficile essere un padre per te?».
«È difficile parlare di questo con un figlio, ma quella della paternità in effetti è un´esperienza straordinaria: di questo livello ce ne sono poche nella vita». Eppure Mario Trevi, qualche lieve senso di colpa sembra coltivarlo. Del resto, quale genitore non ne ha, tanto più che qui siamo alla fine degli anni Settanta alle prese con «un´intera generazione incontrollabile». L´episodio che viene rivelato è però soprattutto divertente: «Beh, di sicuro ricorderai quando tua madre mi spedì a farti una predica, perché per la prima volta aveva trovato degli spinelli, forse un pacchettino di marijuana nascosto tra i tuoi vestiti, qualcosa del genere. Io ti aspettavo in camera tua, una notte, incerto su quando saresti arrivato». «E infatti, quello che mi ricordo soprattutto è di averti trovato addormentato nel mio letto!». «È possibile! Per me era una situazione molto spinosa. Perché vedi, comunque avevamo fatto una cosa sbagliata, frugando nelle tue cose».
In questo singolare colloquio emoziona il costante rimando alla finitezza della vita: l´ansia trattenuta del figlio, la lucida serenità del padre - che poi è anche un amorevolissimo nonno... «Arrivato alla tua età, senti di aver raggiunto una qualche forma di saggezza?». «La saggezza della vecchiaia dovrebbe consistere nella felicità che il mondo continui dopo di noi, in una maniera che non possiamo prevedere, e magari più bella. Non penso di essere diventato né un saggio né un santo, ad ogni modo. Per me è stato molto importante portare avanti, senza troppe pretese, un processo di individuazione che mi consentisse di fare bene il mio lavoro. Ma non è che ho una grande stima di me stesso».


Liberazione 29.08.2007
Nella città toscana chiunque venga colto sul fatto ai semafori rischia l'arresto fino a tre mesi. Entusiasmo dai sindaci di Torino, Bari,
Verona e Milano. Ai problemi posti dalla società non c'è una risposta di sinistra, c'è solo l'accoglimento delle risposte di destra...
Firenze apre la caccia ai lavavetri
Ecco la sicurezza targata Piddì
di Ritanna Armeni

La notizia arriva da Firenze. Secondo un'ordinanza del comune (di centro sinistra) i lavavetri possono rischiare fino a tre mesi di galera. L'idea - a quanto pare - è piaciuta subuito ad un altra amministrazione di centro sinistra. Michele Emiliano, sindaco di Bari, ha annunciato che procederà anche lui in questa direzione mentre il sindaco di Torino Sergio Chiamparino ha fatto sapere che assumerà tutte le informazioni per verificare se un'ordinanza simile è possibile anche nella sua città.
I lavavetri. Questa la nuova emergenza dell'estate 2007. L'aspirante segretario del futuro partito democratico Walter Veltroni se ne è fatto subito carico. E' una questione nazionale, ha detto, e quindi non possono essere i singoli comuni a pensare di risolverla. Ci vuole una soluzione organizzata e simile per tutte le città.
I lavavetri. Allora questo il nuovo pericolo da combattere. La cosa ci indigna, ma non ci stupisce. Sono mesi che dai ministri, sindaci, amministratori, segretari di partito e aspiranti tali del centro sinistra vengono messaggi che contengono la stessa matrice culturale, la stessa intenzione politica. Abbiamo sentito che per la sinistra la ricchezza non deve essere un nemico. Senza neanche porre il dubbio che qualche volta la ricchezza di alcuni si costruisce sulla povertà di altri. Che i precari vengono prima degli operai. Come se il problema oggi fosse fare una gerarchia fra chi sta male e chi sta peggio. Che i sindacati difendono troppo i lavoratori. E qui si è sfiorato il ridicolo: che cosa dovrebbero fare? Abbiamo sentito dire che la precarietà non è una bella cosa, ma che le leggi sul mercato del lavoro alla fin fine vanno bene. Ci hanno assicurato che i rom saranno allontanati dai centri cittadini con le buone o con le cattive maniere. Che la sicurezza viene prima di tutto e che non è di destra nè di sinistra. L'elenco è lungo, ma ci fermiamo qui per porre una domanda. Perchè questa sfilza di dichiarazioni e di prese di posizione? Che cosa c'è dietro questa ossessione di tanti esponenti del centro sinistra di mostrare che hanno abbandonato ogni posizione diversa da quelle di destra? C'è chi vi ha visto una grande voglia di centro, il desiderio di cambiare gli equilibri politici, l'intenzione di andare ad un governo che scarichi la sinistra radicale e apra ai moderati. Per fare tutto questo è importante mandare segnali di cambiamento, mostrare che si è disponibili ad affrontare i problemi sociali in modo moderato e responsabile.
Probabilmente c'è del vero. Ma non basta a spiegare. Quest'estate, infatti, nel grande circo del dibattito politico che ha avuto al suo centro la nascita del partito democratico non c'è stato solo uno spostamento di posizioni in senso moderato o conservatore. Non abbiamo assistito solo al tentativo, persino legittimo, di spostare un elettorato ed una opinione pubblica diffidente nei confronti della sinistra. Quel che è avvenuto è più profondo e più grave. E' maturata in questi mesi nello stillicidio di dichiarazioni, nell'abbondanza di prese di posizione e di interviste una "cultura politica", un'ideologia che si propone con forza e anche con una sua dose di violenza.
L'"emergenza lavavetri" è infatti un messaggio innanzitutto ideologico. Non è una soluzione politica, né amministrativa, né di buon senso. Un buon amministratore, infatti, sa che chi non può più recuperare qualche spicciolo davanti ai semafori finisce più facilmente a fare lo spacciatore. Un politico dovrebbe aver chiaro che non è il caso di riempire le carceri italiani di lavavetri. Chiunque abbia un po' di buon senso dovrebbe pensare che non si può mettere in galera chi al massimo procura qualche fastidio o può essere maleducato.
Il messaggio ideologico invece è chiaro. Ai problemi posti dalla società non c'è una risposta di sinistra, c'è solo l'accoglimento e l'allargamento delle risposte di destra. Non è strano né casuale che gli esponenti della Lega plaudano all'emergenza lavavetri e alle nuove ordinanze comunali.
E ancora, più in generale si manda a dire che non esistono risposte di destra e risposte di sinistra. Esistono "risposte". E siccome quelle di destra sono belle e pronte e si fondano sulla paura, sulla istintiva difesa delle grandi e piccole comodità della vita quotidiana, sul rifiuto di chi ha meno, di chi è ai margini del proprio benessere, ecco che quelle risposte diventano le uniche, assumono un carattere oggettivo e neutrale.
L'"emergenza lavavetri" non riguarda solo quei migliaia che chiedono qualche spicciolo dando in cambio il lavoro che possono dare. Riguarda la sinistra. Anche per chi si ostina a cercare a sinistra ormai è emergenza.

Liberazione 29.08.2007
Il 29 agosto 1980 moriva il grande psichiatra italiano
Le relazioni di dominio, stalking:
quello che Basaglia ci aveva detto
di Luigi Attenasio*

Franco Basaglia, "psichiatra disobbediente" e intellettuale radicato nel mondo dei bisogni umani, moriva ventisette anni fa. Come tutti quelli, Maccacaro, Pasolini, Zavattini, Foucault, Barthes…, che ci hanno dato lenti per leggere dietro i muri dell'ovvio e dello scontato, della moda prevalente la cui stessa diffusione ne prova la sensatezza, e non ci sono più, ci manca. E non solo nello specifico, ma in tutto, il generale, il sociale, il culturale, il politico ("Il nuovo governo ricominci da Basaglia" titolava Liberazione del 13 Maggio 2006). I suoi luoghi, i nostri, se si frantuma il pregiudizio della incomunicabilità con il matto, sono apparecchi ottici da cui vedere l'apparato sociale nella sua trama di poteri, nessi, regole. Nelle Conferenze Brasiliane, libro postumo con le registrazioni di un viaggio in Brasile in cui discusse e si confrontò con migliaia di persone di tutti i tipi e professioni e dove, più che altrove, la corrispondenza tra immediatezza espressiva e linearità dei contenuti è speculare, "punto alto dell'intreccio tra riflessione teorica e pratica di trasformazione delle istituzioni psichiatriche" (dalla presentazione di Mimmo De Salvia e Adolfo Rolle) diceva: «Le relazioni padre-figlio, uomo-donna, giovane-vecchio, ecc. sono sempre relazioni di dominio, perché se così non fosse, la nostra organizzazione sociale non potrebbe funzionare». Non è forse ciò attualissimo? Il crescendo è tragico: ogni tre giorni una donna viene uccisa dopo essere stata oggetto di molestie, minacce, violenze persecutorie, delitti commessi quasi tutti da conoscenti o soprattutto da ex partner. Il nome di ciò è tutto un programma: Stalking, cioè l'appostamento e l'inseguimento della preda nella caccia. Inquietano le giustificazioni di molti degli assassini: dovevamo farlo, è il destino che ci lega, sono loro stesse che vogliono essere molestate e prima o poi cederanno, ci sentiamo in obbligo di prendercene cura. Molto lucidamente Dacia Maraini parla di rigurgito di una cultura antichissima che identifica amore e possesso da cui l'atto tragico come forma estrema di controllo sulla vita di una persona.

Già nelle Metamorfosi Ovidio descrive Apollo che "caccia" Dafne che non cede e si fa trasformare in albero di alloro. Apollo le dirà «amor est mihi causa sequendi», è per amore che ti tratto così. Amore è ben altro, passione, sofferenza, gioia, sesso, vita…questa è invece una risposta all'indipendenza della donna che "si mette in proprio", cambia lavoro, casa, fidanzato, marito, vita. L'uomo, gigante dai piedi di argilla, va in crisi, ha paura e invece di utilizzare ciò per una salutare, matura verifica della sua identità (leggi mascolinità) per modalità relazionali altre, comincia a covare rancore e vuole vendicarsi. Ma, opportunamente ribadisce la Maraini, non vi è il gene del predatore: il lavoro, lungo ma da fare, è sulla cultura, sulla mentalità della gente. Sicuramente i violenti devono essere "disinnescati" e non nuocere. Giuliano Pisapia ci ricorda però che il codice penale non prevede questo come reato mentre paradossalmente lo è la rappresentazione abusiva di spettacolo teatrale o cinematografico. Non potevamo aspettarci granchè se solo nell'81 è stato cancellato il delitto d'onore e nel 68 rimosso il reato di adulterio! Il progetto di legge contro la violenza sulle donne è già pronto alla commissione giustizia della Camera. Bisognerebbe affrettare per aprire ad eventuali misure cautelari, che senza una legge (se abbiamo capito bene, è su questo che "litigano" polizia e procura) rischiano una eccessiva arbitrarietà. Bene fa Pisapia a ricordare che la custodia cautelare è strumento delicato per non "scivolare" dallo Stato di diritto a uno Stato di Polizia e racconta anche che nel bar dove fa colazione ha sentito invocare a gran voce la pena di morte. Almeno questa volta (sic!) il grido non è che è tutta colpa della 180, che sono malati da curare, che una cosa è follia (buona), un'altra è pazzia (cattiva) come se qualunque deviazione del comportamento competesse alla psichiatria. Crescita delle coscienze? Distrazione d'agosto? Verificheremo nei prossimi giorni. Sarebbe bello accorgersi che in Italia…c'era una volta il manicomio, ma anche c'era una volta l'immagine del malato mentale visto come…e tutto ciò che sappiamo. Il movimento antiistituzionale, forte dell'esperienza del manicomio, ramazza di vite "scartate" altrove, ha "avvisato" che la psichiatria, quando mette insieme cura e custodia, fa più danni della grandine. Basaglia scriverà ne L'istituzione negata della sua insoddisfazione per il pensiero fenomenologico che «non è riuscito - nonostante la sua disperata ricerca della soggettività dell'uomo - a toglierlo dal terreno dell'oggettivazione in cui si trova gettato: l'uomo e la sua oggettivazione sono ancora considerati come un dato, sul quale non c'è possibilità di intervento, oltre ad una generica comprensione». Da una psichiatria del comprendere e descrivere, comunque inedita per l'alienistica del tempo, organicista e reclusiva, pur utile perché "alba" delle prime domande sul senso della follia, ma sterile di fronte all'appareil de force del manicomio, approderà a una psichiatria della trasformazione e del lavoro collettivo, e, richiamandosi alla Histoire de la folie, ipotizzerà che si possa vivere, non più sotto dominio ma "in uno stato di tensione reciproca in cui - reciprocamente - si tenga conto delle necessità e del bisogno di libertà di ogni singolo". Reciprocità è parola di origine latina, ricorda Pirella, richiama il movimento di vai e vieni, il flusso, e nelle lingue di questo ceppo indica un rapporto vicendevole, di parità che collega le azioni fra due soggetti. E' accaduto con gli psichiatrizzati di allora, in cui ognuno ha trovato, raccorciando la distanza dall'altro e riconoscendone il valore, il proprio significato. La storia continua: gli "psichiatrizzati" attuali, la vera differenza, la vera risorsa, il vero atout del caso italiano, ieri in 44 erano a Strasburgo a invocare una 180 per l'Europa ("Il viaggio di un'idea"), oggi in 250 tornano dal tour Roma Pechino, viaggio alla scoperta della normalità contro ogni pregiudizio e stigma, domani con operatori e…cammelli saranno, Dipartimento Salute Mentale Roma C, in Marocco col Trekking delle dune per il progetto Trasmigrazione delle diversità. Diceva R. Barthes: «La follia non è una malattia, ma un senso variabile e forse eterogeneo secondo i secoli».

*presidente Psichiatria democratica Lazio


il manifesto 29.8.07
Orvieto. Per il sindaco una «rimpatriata» a sinistra
Il candidato premier si autoinvita alla festa di Mussi. Si cerca un dibattito ad hoc. Salvi (Sd): «Dobbiamo unire la sinistra. Il Pd paralizza tutto»
di M. Ba.

Arriverà a Orvieto di sabato. Proprio nei due giorni clou della prima festa nazionale di Sinistra democratica. Alla vigilia del seminario a porte chiuse in cui il movimento guidato da Fabio Mussi provvederà a fare chiarezza sulla rotta a sinistra.
Faccia a faccia al funerale di Bruno Trentin, Mussi e Veltroni hanno concordato la visita di cortesia. «Da parte di Veltroni - annuncia il sito del candidato alla guida del Pd 'Lanuovastagione.it' - è un atto di attenzione, di rispetto e di amicizia nei confronti di una forza importante del campo democratico». Poco importa che alle 17 (orario del suo arrivo a Orvieto) non fosse previsto nulla. Gli organizzatori della festa sono ora al lavoro per trovare una cornice adeguata alla visita dell'ormai candidato premier. Sarà una rimpatriata nonostante le distanze del momento. Perché in tanti, nella Sinistra democratica, vengono da un «correntone Ds» emanazione, tra gli altri, proprio dell'attuale sindaco di Roma. Lo stesso Veltroni non ha mai fatto mistero di sperare in un ripensamento dell'ex compagno e amico Fabio Mussi e in un ritorno tra le fila di chi crede nel suo Pd.
«La visita di Walter la interpreto come un segno di attenzione importante nei confronti del tentativo che stiamo facendo di costruire un soggetto unitario della sinistra, alleato del Pd, e capace di rappresentare i grandi interessi popolari del mondo del lavoro», dice Carlo Leoni, oggi in Sd ma «fedelissimo» di Veltroni all'epoca della segreteria Ds.
Cesare Salvi, che nei Ds non è mai stato un veltroniano, è più tiepido. «Il dibattito vero, per noi più importante, è quello di domenica, quando ragioneremo insieme a Giordano, Pecoraro Scanio e Intini di unità della sinistra». «Chi cerca nuove alleanze ma dice che le vuole tra quattro anni perché ne parla oggi? E' una destabilizzazione oggettiva di questo governo, il Pd è paralizzato da mesi in una rissa e prova a scaricare sulla sinistra lo scontento che c'è nel paese - continua Salvi - e invece il popolo è più avanti della politica, è contrario alla guerra in Afghanistan, conosce bene il dramma sociale del precariato, chiede diritti civili europei, pretende da noi un taglio dei costi impropri e assurdi della politica. La sinistra deve muoversi subito, e unirsi, se vuole rispondere a queste domande».
Dall'attacco concentrico prova a uscire anche Rifondazione. Per Franco Giordano «il vero obiettivo di Rutelli non è la sinistra ma questo governo, se il Pd vuole rinegoziare il programma deve prepararsi a rinegoziare anche gli incarichi». Tradotto: Rutelli non può continuare a fare il vicepremier se passa più tempo a demolire una parte della maggioranza che lo sostiene invece di governare.
Che il governo è finito in un vicolo cieco, lo testimoniano le parole del ministro del Lavoro Cesare Damiano sulla tassazione delle rendite finanziarie: «Sono d'accordo - ha detto ieri alla festa dell'Unità - ma credo che il governo non andrà avanti». L'ennesimo «vorrei ma non posso» che non va giù alla sinistra. «Tassare le rendite finanziarie al 20% è sacrosanto - tuona ancora un Cesare Salvi più battagliero che mai - e invece il governo se l'è dimenticato dopo 15 giorni. E' una scelta di equità che riguarda tutti, aiuta i conti correnti non solo dei lavoratori dipendenti: perché se un imprenditore investe e guadagna con la sua azienda viene tassato al 37,5% e se specula in borsa al 12,5%? Si parla tanto di bilancio, ma riformare la legge 30 all'erario non costa nulla, e tagliare i costi della politica è solo un sollievo». Ma per fare queste cose servirebbe una «cabina di regia». Che per ora manca sia al governo che alla sinistra.