giovedì 2 agosto 2007

il manifesto 2.8.07
Cina. «Letture» proibite a Pechino
di Angela Pascucci

Il Partito comunista prepara il congresso. Attaccando la «Nuova sinistra» Decapitata la rivista «Dushu», che significa «Letture». Il suo direttore, Wang Hui, è stato cacciato e il giornale va verso una normalizzazione di regime. E' una vittoria degli apparati del Pcc, che in vista del congresso, si danno battaglia. Su chi è più liberista

Wang Hui, l'autorevole intellettuale conosciuto anche in Italia come il rappresentante di punta della cosiddetta «Nuova Sinistra» cinese, è stato bruscamente costretto a lasciare la direzione della rivista Dushu, che dal 1996 dirigeva insieme a Huang Ping, obbligato anche lui a dimettersi. Poco chiare le ragioni del provvedimento, che hanno tutta l'aria di un pretesto. Un fulmine nel cielo politico cinese che si va vieppiù rannuvolando, in vista del Congresso del Pc, previsto per l'inizio di ottobre e considerato cruciale per il consistente cambio di nomenklatura in programma. L'attuale leadership dovrà infatti consolidarsi e stabilire la propria successione. Quasi di prammatica, in tempi simili, l'inasprimento dello scontro dentro un partito che deve tenere insieme anime e interessi in divergenza accelerata, inevitabilmente rispecchiando le spaccature sociali sempre più profonde e la problematicità di uno sviluppo che si rivela insostenibile. La «decapitazione» arriva peraltro nel momento in cui le cronache sono piene di operai-schiavi liberati, di nuove leggi sul lavoro, di maggiore attenzione ai problemi sociali ai migranti e ai contadini. A conferma dell'antico detto cinese «fare rumore a ovest, per colpire a est».
La questione Pcc costituisce uno sfondo imprescindibile, per chi osserva da fuori. Ma non è mai apertamente richiamata nell'acceso dibattito suscitato dall'improvviso licenziamento di Wang Hui e del suo collega dalla guida di una rivista che negli ultimi dieci anni è stata punto di riferimento per un dibattito che ha coinvolto le migliori intelligenze del paese, e suscitato critiche e risentimenti.
Un giornale pericoloso
Vediamo i fatti, ricostruiti sulla base di articoli, interviste e interventi finora circolati solo in Cina soprattutto su Internet (in particolare sul sito di Utopia, www.wyxsx.com) che ancora una volta si è rivelata cruciale per la diffusione di informazioni. Poco o nulla è infatti comparso sulla stampa. Agli organi di stampa ufficiali di Pechino è stato imposto di non riportare nulla sulla vicenda e solo alcuni quotidiani e riviste della Cina meridionale seguono gli eventi, schierandosi.
Se il giubilamento della direzione di Dushu è stato brusco, non è stato tuttavia una sorpresa per i due diretti interessati. La casa editrice della rivista è la società Sanlian Shudian, controllata dalla Chinese Publishing Corporation, costituita alla fine degli anni '90 a termini di Wto come compagnia non statale, anche se risponde gerarchicamente al Ministero della Propaganda del Pcc - Partito comunista che in questo caso ha assunto ufficialmente la veste di organizzazione non governativa (misteri cinesi). Da qualche tempo la direzione editoriale della Sanlian Press era cambiata, e con essa l'atteggiamento verso Dushu, divenuto ostile, se non censorio. Wang Hui e Huang Ping avevano capito di dover preparare le valigie, ma speravano di poter almeno guidare la transizione così che 10 anni di lavoro non venisse distrutto. Non sono riusciti mai neppure a parlarne.
A metà giugno la situazione è precipitata. Da un articolo di giornale, il 21 giugno, i due direttori vengono a sapere che stanno per essere licenziati a causa del calo di vendite della rivista. Pochi giorni dopo, il 26 giugno, da un incontro coi vertici della casa editrice, Wang Hui e Huang Ping apprendono che il cambiamento è voluto dalla Chinese Publishing Corporation che vuole centralizzare la supervisione di Dushu e ha stabilito che gli incarichi dei due direttori, uno professore alla Tsinghua University, l'altro all'Accademia sociale delle scienze, sono incompatibili con la direzione della rivista. Nessun cenno al calo di vendite. I due direttori chiedono un po' di tempo per il passaggio delle consegne. Quello stesso giorno il Giornale della gioventù di Pechino pubblica una intervista a Wang Hui nella quale il professore si difende e fa presente che dal suo insediamento, nel 1996, a oggi, le vendite hanno sempre oscillato tra le 90mila e le 120mila copie, un record nella storia della rivista, (nata nel '79 come pubblicazione di recensioni librarie da cui il suo nome che significa «letture»). Nell'occasione, Wang Hui respinge anche le accuse rivolte, peraltro mai ufficialmente, all'orientamento di Dushu, considerato troppo di sinistra, e al suo stile di scrittura che per i critici sarebbe noioso e difficile. Sul primo punto Wang Hui rivendica e difende gli orientamenti della direzione, ma ricorda di aver aperto la rivista a un grande dibattito, anche internazionale, su questioni forti, sensibili, in Cina come nel mondo. Derrida, Habermas, Anderson, Eco, Jameson e molti altri ancora hanno contribuito alle sue pagine che hanno ospitato anche voci cinesi molto critiche. Quanto alla seconda accusa viene rintuzzata argomentando che la qualità dei dibattiti intellettuali non può essere valutata su standard consumistici e facendo notare che «non ci si dovrebbe aspettare di essere 'intrattenuti' da un articolo sulla difficile situazione dei contadini cinesi».
La difesa non piace. Il 7 luglio i vertici della Sanlian comunicano che la decisione di sostituire i due direttori ha effetto immediato. Il 10 luglio è annunciato alla redazione l'insediamento dei nuovi direttori uno dei quali è anche un manager della Sanlian. L'incontro viene disertato dalla maggior parte di coloro che avrebbero dovuto partecipare.
Dai fatti si evince che Dushu era diventata scomoda e che con puri pretesti si è posta fine a un'esperienza straordinaria, in senso letterale, per la Cina. L'autodifesa di Wang Hui, ricostruibile dalle interviste attraverso le quali ultimamente ha cercato di vendere cara la pelle, la restituisce in tutto il suo spessore intellettuale mentre elenca le vere ragioni che hanno portato al suo licenziamento: l'accresciuto controllo del sistema burocratico sullo spazio pubblico in risposta ai conflitti crescenti, l'azione di particolari forze sociali e gruppi di interesse, con i loro rappresentanti nel mondo culturale, volta a eliminare ogni voce critica dell'attuale andazzo, l'ignoranza e l'ideologia di mass media asserviti.
Censura neo-liberal
Appare chiaro è che quanto accaduto a Dushu costituisce una vittoria per i neo-liberal cinesi che giorno dopo giorno occupano posizioni sempre più elevate nella gestione dell'economia e della politica, i cui intrecci sono ormai strettissimi. Una élite che ha un ruolo dominante anche nei mezzi di informazione incaricati di trasmettere i suoi mantra: il mercato è una forza naturale, il capitalismo è il progresso e i mali cinesi (corruzione, turbolenze sociali, inquinamento) derivano dal non averne abbastanza, la polarizzazione fra ricchi e poveri è male inevitabile.
Discorsi che suonano familiari alle nostre orecchie occidentali: in questo senso l'esperienza particolare della rivista ci riguarda facendo emrgere la Cina, ancora una volta, come un paese allegorico che parla a tutti.
Due erano i piani sui quali la direzione ha condotto Dushu dal 1996: la messa a fuoco dei problemi reali e delle questioni politiche da essi poste, e l'apertura di un dibattito pubblico su quanto andava emergendo. Un'azione cruciale, soprattutto negli anni '90 quando i rapidi cambiamenti avevano rese obsolete categorie come stato, partito, mercato, società e non si avevano a disposizione nuovi concetti e teorie per analizzarli. Ma quel che più importa, ricorda Wang Hui, era «la nuova direzione verso cui puntavamo mentre cominciavamo a esplorare il percorso di sviluppo unico che la Cina avrebbe dovuto seguire». Riflessioni che, sottolinea, mai sono avvenute in Russia e nell'Europa dell'est, squassate dal terremoto dell'89. Così facendo Dushu si è attirata molte critiche feroci perché ha sollevato temi come la gravità della situazione sanitaria e della condizione contadina o la questione della protezione ambientale, o la corruzione nel processo di privatizzazione delle imprese di stato, quando erano argomenti tabù perché disturbavano il manovratore. Tutti nodi di cui il governo ha dovuto infine prendere atto per correre ai ripari. Merito questo non tanto della rivista ma del dibattito suscitato che era, in se stesso, sottolinea Wang Hui, un frutto dei cambiamenti sociali in corso. Un esempio fra tutti: nel 1999 Dushu apre un grande confronto sulla condizione drammatica dei contadini quando ancora il governo sosteneva che il mondo rurale cinese non fosse in crisi. Dopo quel dibattito, Pechino cambiò politica tanto che si cominciò a parlare dell'influenza inedita esercitata dalla Nuova Sinistra. Da notare che a dare avvio al confronto sui contadini fu uno dei maggiori esperti cinesi di politica agraria, il professor Wen Tiejun (una sua intervista è stata pubblicata dal manifesto il 24/12/2006), del quale giunge voce che sia anch'egli in gravi difficoltà politiche.
La possibilità di confronto pubblico è l'aspetto che oggi sta a più a cuore a Wang Hui perché, dice, «costituisce un importante elemento di democrazia. Perciò spero di poterne espandere lo spazio, non diminuirlo».
Inevitabile che una simile impostazione, volta a restituire alla politica il senso e la sostanza che la rendono tale, andasse in rotta di collisione con una tendenza a ridurre tutto a regolamenti burocratici o a leggi «naturali» del mercato che espelle la discussione e tutto de-politicizza. In una crisi delle ragioni della politica e dei metodi della democrazia che è ormai anche il nostro indigesto pane quotidiano. Una stretta anti pensiero che, foriera di tempi amari per i nostri destini occidentali, in Cina impedirà il cambiamento di un corso disastroso, che potrà essere mantenuto solo con repressione e controllo poliziesco. Quale che sia la fazione «vincitrice» al prossimo Congresso.
Ma si può essere certi che Wang Hui non smetterà di combattere, anche se la sua ultima battaglia a Dushu è ormai persa.