sabato 18 agosto 2007

Liberazione 18.8.07
La calda estate di Gavino
Angius attacca il Prc: agosto, sinistra mia non ti conosco
di Rina Gagliardi

Il vero pericolo per Prodi viene dai centristi dell'Unione
e dalla voglia matta di Dini di diventare premier

Me lo ricordo bene il compagno Gavino Angius, in quel lontano lunedì del 1991. Eravamo a Rimini, all'Hotel Continental (che si era trasformato nel quartier generale del No allo scioglimento del Pci) e il congresso costituivo del Pds era quasi finito: si trattava solo di eleggere Achille Occhetto segretario del nuovo partito. Si aspettava la notizia - più che scontata, quasi una sorta di adempimento burocratico - in un clima non particolarmente allegro. Invece, di notizia ne arrivò un'altra, e inaspettata: Occhetto non era stato eletto per mancato raggiungimento del quorum previsto. E fu proprio Angius, in quel momento, a balzare dalla sedia in preda ad un irrefrenabile scoppio di felicità: si procurò sull'istante due bottiglie di spumante e officiò un brindisi per tutti gli astanti. Un brindisi "alla faccia di Occhetto". Una piccola compensazione, dopo le sofferenze di una campagna congressuale durata due anni. Gavino, così mi pareva, è fatto così: un uomo intelligente ma anche schietto, e un po' sanguigno. Non un politicante, o un adepto dell'arte dell'intrigo, così cara a tanti politici. Uno che usa ponderare a lungo le sue posizioni, le sue scelte, ma poi le esprime apertis verbis , senza troppi giri di parole o contorsioni dialettiche.
Voi direte: perché questa lunga premessa sul vicepresidente del Senato, oggi uno dei leader di spicco di Sinistra Democratica? Perché in questo scorcio di torrido agosto, Gavino Angius sembra essersi consacrato a una sola "missione": l'attacco alle sinistre radicali, e segnatamente a Rifondazione comunista. Ieri, addirittura, una doppia uscita - Unità e Corriere della sera - per difendere le bellezze della Legge 30, mettere sotto accusa la manifestazione del 20 ottobre e paventare un nuovo ‘98. Insomma, ci si è buttato anima e corpo, in questa battaglia - proprio come se la sinistra, le sinistre, fossero il suo nemico principale. Nemmeno l'unità d'azione gli piace. Ora, alla luce della limpida storia politica che Gavino Angius ha alle spalle, non riesco a trovare una ratio convincente, né in queste sue posizioni, né in questo suo sfrenato attivismo agostano. E provo a interrogarmi.
Prima, possibile spiegazione: la distanza "nel merito delle cose", cioè sulle leggi (Treu e Biagi) che regolano il mercato del lavoro. Forse Angius non le conosce bene, forse ha letto troppi articoli di Ichino, e ne è stato folgorato. Forse, ancora, non considera il superamento della precarietà del lavoro come una priorità, a dispetto degli impegni solenni assunti nel programma dell'Unione. Fin qui, opinioni personali - sbagliate, ma pur sempre opinioni. Ma come fa, poi, Angius ad affermare che il Prc è contro la legge 30 «per pure ragioni strumentali» e con una «degenerazione propagandistica che ha del grottesco»? Qui, duole dirlo, o c'è disinformazione, o (come propendo a pensare) c'è pura malafede. Fin dai tempi in cui quella legge fu approvata, Rifondazione espresse un netto, nettissimo giudizio critico - e non da sola, ma in compagnia, per dire, di fette amplissime del sindacato, oltre che di numerosi giuslavoristi. Nella campagna elettorale di un anno e mezzo fa, tutti i dirigenti, grandi, medi e piccoli, di Rifondazione si sono sgolati a ripetere, in quattro o cinquemila comizi, che uno dei nostri obiettivi qualificanti era proprio l'abolizione, o il superamento sostanziale, di quel tipo di legislazione.
Tanto è vero che, a governo Prodi già ampiamente insediato, il 4 novembre del 2006 il Prc partecipò massicciamente a un corteo (assai riuscito) contro la precarietà - e tutti, forse anche Gavino, capirono allora di che cosa si trattava, di una grande insostituibile battaglia di civiltà. Arrivare adesso a sostenere che, invece, si tratta di una «spregiudicata» (sic) manovra politica, anzi politicistica, per sbarazzarsi del governo Prodi è davvero scorretto, infondato e palesemente strumentale - del resto, a tutti è chiaro che il vero pericolo, per il governo Prodi, viene dalle componenti centriste dell'Unione, dallo stravolgimento del programma dell'Unione in senso moderato e confindustriale che una parte della maggioranza tenta di compiere, nonché dalla "voglia matta" di Lamberto Dini di ridiventare presidente del consiglio, sia pure per un giro di valzer. Ma, supponiamo, tutto questo Angius lo sa bene. Vuol dire, allora, chissà, che il passionale dirigente comunista di vent'anni fa si è trasformato, lui sì, in uno spregiudicato uomo di manovra? Una quinta colonna del Pd, che opera - pensa di operare più efficacemente - da fuori, da "libero battitore", con l'incarico di far deragliare, se e come può, il treno dell'unità a sinistra? Uno che alle ragioni di Sinistra Democratica - quelle strategiche e di lunga durata - ci crede come noi crediamo in Dio?
Seconda spiegazione (non alternativa ma complementare alla precedente): Angius ha il terrore, qualunque cosa essa sia, della "Cosa Rossa", ovvero di una soggettività di sinistra plurale, unitaria, consistente, capace di incidere nella grande politica e perfino nell'attività di governo. Teme di tornare "indietro", nell'inferno del comunismo e della radicalità, e di privarsi così di un dignitoso futuro politico - al punto da pensare che quello con Boselli e De Michelis possa davvero definirsi tale. Ma un tal panico, vivaddio, è quasi incomprensibile, anche dal punto di vista di chi, come l'ultimo Angius, ha il vezzo di definire se stesso come un "socialdemocratico europeo". Non la vede, il vicepresidente del Senato, la crisi profonda in cui si dibatte, in tutta Europa, la socialdemocrazia? Non si è accorto della sua deriva centrista, liberista, social-liberale? Non ha avuto notizia della Grosse Koalition tedesca e del successo crescente della Linke, guidata da un socialdemocratico europeo vero come Oskar Lafontaine? Insomma, se il modello in cui Angius si riconosce è quello di Blair, o di Gordon Brown, o dell'attuale Spd, e se quelle sono le sue prospettive politiche, lo dica con maggiore chiarezza. Magari spiegando meglio le ragioni che lo hanno portato a non aderire al Partito Democratico (non gli piaceva il nome?), che è oggi la casa naturale, il logico approdo, di chi pensa la politica in termini neocentristi. Oltre che di chi, naturalmente, ha una sfegatata paura del "Rosso", come ogni buon toro alla corrida di Pamplona.

Liberazione 18.8.07
Bonino e Angius, la strana coppia
Un solo obiettivo: Rifondazione
di Romina Velchi

La contro-manifestazione di Cazzola raccoglie altre adesione nell'Unione, mentre la leader radicale minaccia il governo
Al centro delle polemiche il lavoro e la precarietà. Il Prc si prepara a modificare la legge 30 in piazza e in parlamento
Il ministro radicale: se Prodi modifica il protocollo, il governo cade. Enrico Letta difende l'accordo.
Russo Spena: «E' iniziato il confronto su lavoro interinale, contratto a termine e lavoro a chiamata»

Addirittura in formato stereo. Le accuse di Gavino Angius arrivano dalle colonne del "Corriere della sera" e dell'"Unità". E il bersaglio privilegiato, manco a dirlo, è Rifondazione, anche se è lecito il dubbio che l'esponente di Sinistra democratica «parli a nuora perché suocera intenda», per dirla con Giovanni Russo Spena: cioè che l'obiettivo vero siano gli esponenti della sua stessa formazione politica, "colpevoli" di essere succubi del Prc. Così, mentre si fa più acuta la sfida delle "due piazze" pro e contro la legge 30, prosegue il tentativo di colpire l'ala radicale della coalizione, di metterla nell'angolo, di ricacciarla in posizioni subordinate, pena la caduta del governo. E il bello (o il brutto) è che l'attacco arriva anche da chi dovrebbe essere un alleato. Mentre, a ben vedere, i toni volutamente alti non aiutano un confronto serio sul merito della questione, proprio mentre il governo, per ammissione dello stesso ministro Damiano, cerca una mediazione apprestandosi ad alcune modifiche alla legge 30.
In sostanza, Angius accusa il Prc di fare un uso «strumentale» della lotta alla precarietà «per manovre politiche, alla ricerca di nuovi equilibri politici a sinistra» e per «esercitare forme di aut aut al governo e alle altre forze della coalizione». Questo determina una «degenerazione propagandistica e grottesca». Un uso «spregiudicato», una «battaglia di retroguardia», che «mi ricorda quella del 1998 per le 35 ore settimanali e tutti sappiamo come andò a finire: è caduto il governo e di 35 ore non si è parlato più». Quanto alla manifestazione del 20 ottobre, lanciata da "Liberazione" e il "manifesto", è «un errore strategico», «una sorta di redde rationem all'interno della coalizione».
Ce n'è quanto basta per far infuriare i dirigenti del Prc. Anche perché la critica esplicita alla gestione Mussi del "dopo-Ds" sta nel fatto che Sd si è «sempre più appiattita su Rc»; «Vedo una deriva verso la nascita della Cosa rossa e penso che sia un errore», mentre il Partito democratico ha un «inconsistente profilo identitario» ed è troppo occupato nello «scontro di potere» tanto da lasciare spazio alla «pretesa assurda di Rifondazione comunista di rappresentare in maniera esclusiva tutto il mondo del lavoro» «contro il governo e i sindacati».
Per Angius, invece, «il problema fondamentale è l'assenza di una forza socialista, democratica, socialdemocratica, appertenente al campo del socialismo europeo. Se la situazione è questa non bisogna meravigliarsi che poi a sinistra spunti una Cosa rossa». Amen.
Cosa farà Gavino Angius, visto che non si riconosce «né nel Pd, né nella Cosa rossa e in mezzo non c'è niente»? Andrà con De Michelis? Con Boselli? «Ci stiamo lavorando. Ci saranno delle sorprese». Nell'attesa, all'ex diessino risponde con parole dure il presidente dei senatori del Prc, Giovanni Russo Spena. «La pazienza ha un limite - sbotta - Si può discutere tra posizioni diverse, ma è intollerabile accusare di propagandismo strumentale, in materia di lotta alla precarietà, il Prc che di questa lotta ha fatto da oltre dieci anni un paradigma fondativo nel paese e in Parlamento. Non è neppure lecito accusare Rifondazione di mire egemoniche sulle altre forze della sinistra alternativa, quando il nostro asse strategico è, al contrario, la generosa e limpida costruzione, da subito, di un soggetto unitario e plurale». E a riprova che il Prc non intende fare passi indietro - manifestazione del 20 ottobre a parte - Russo Spena conferma che «nonostante i toni alti di alcuni ministri come la Bonino, è iniziato il confronto su lavoro interinale, contratto a termine e lavoro a chiamata. Dovranno poi seguire interventi molto più seri e non escludo che già in finanziaria vi siano accorgimenti sul tema degli ammortizzatori sociali». Come dire: se il governo cadrà non sarà stato per colpa del Prc, il governo essendo intenzionato a farle quelle modifiche. E non solo per "tenere buona" Rifondazione, ma anche perché servono a Prodi per sopravvivere e, magari, recuperare consenso.
Gli aut aut, invece, arrivano da ben altri settori del centrosinistra. Bonino, per esempio, torna a minacciare: «Se malauguratamente Prodi dovesse accettare le modifiche richieste da Giordano al protocollo sul welfare, è evidente che si porrà una grave crisi di governo. Non per nostra responsabilità», aggiunge. E suona come una excusatio non petita . Anche perché Bonino parteciperà, con Pannella, alla contro-manifestazione in difesa della "legge Biagi" organizzata dall'ex sindacalista della Cgil, Giuliano Cazzola, e alla quale ha aderito praticamente tutta l'opposizione, dall'Udc ad An. Tanto che ha buon gioco Paolo Cento ad avvertire che «chi il 20 ottobre scende in piazza con Cazzola si pone automaticamente fuori dall'Unione». Anche perché lo stesso Tiziano Treu, finito nel mirino di Caruso insieme con Marco Biagi, alla contro-piazza non ci sarà: «La legge - ha avuto modo di dire - la difenderemo in parlamento». «Da parte nostra non c'è nessun aut aut - insiste Cento - nessun ricatto, ma solo la volontà di far rispettare il programma, che prevede il superamento della legge 30. Bisogna che ci mettiamo d'accordo: o la precarietà è un'emergenza e allora si interviene cambiando le leggi che l'hanno regolamentata finora. Oppure non lo è e allora si lascia tutto come sta». Siccome l'emergenza c'è, è già pronto un progetto di legge sottoscritto da più di 100 deputati della sinistra per modificare profondamente la legge 30. Perché, alla fine, è in parlamento che si misurano i rapporti di forza.
Intanto, mentre per Enrico Letta, uno dei candidati alla segreteria del Pd, il protocollo sul welfare «deve reggere» perché è un «ottimo accordo», il "manifesto" di Cazzola (che ieri si è appellato alla sinistra riformista affinché restituisca «a Biagi l'onore che gli è stato tolto») raccoglie altre adesioni (quella di Nicola Rossi - che in un primo tempo si era tirato fuori - di Franco Debenedetti e di Vittorio Craxi), mentre c'è chi, come Donato Robilotta, capogruppo alla Regione Lazio dei Socialisti Riformisti, arriva a proporre che «aderiscano anche le istituzioni pubbliche».
Insomma, la "guerra delle piazze" continua e si annuncia un ottobre di fuoco.

Liberazione 18.8.07
Un'opposizione senza progetti non può spaventare Prodi
La vera destra sta nelle "idee" ed è trasversale
di Ritanna Armeni

L'autunno forse sarà caldo, l'estate per il centro sinistra è stata tempestosa, ma come si possono definire questi mesi estivi del centro destra? L'immagine dell'opposizione che è emersa giustificherebbe definizioni drastiche e anche irridenti, ma ce ne asterremo. Ci limiteremo a constatare che in questi mesi di opposizione se ne è vista poca e quel poco è apparso diviso, senza strategia, incapace anche di far intravedere un'idea di governo. Saranno anche veritieri i sondaggi che Silvio Berlusconi rende noti con straordinaria frequenza. Sarà anche vero che il governo dell'Unione ha deluso molte delle aspettative di chi l'aveva votato. Ma che cosa è lo schieramento che in caso di nuove elezioni dovrebbe sostituirlo? Che cosa è diventato?
Uno schieramento diviso. L'idea del partito unico è stata ormai apertamente bocciata proprio dal leader, Silvio Berlusconi che avrebbe dovuto promuoverla.
Uno schieramento senza una leadership e incapace di darsela. Berlusconi che non l'ha voluta cedere, non è stato neppure in grado di designare un erede. E oggi non è più credibile. Quindici mesi di opposizione ne hanno offuscato la figura, hanno indebolito la sua immagine di eterno vincitore. Non si può pronosticare ogni settimana sulle questioni più disparate la prossima, sicura, ineludibile caduta del governo. Se questa non avviene chi l'ha prevista è destinato ad indebolirsi.
Uno schieramento, infine, incapace di usare questi mesi di opposizione per costruire una vera cultura di destra che all'Italia manca e alla cui assenza finora hanno supplito le risorse e la leadership di Silvio Berlusconi.
Neanche dalla collocazione all'opposizione, che pure può favorire processi di omologazione culturale il centro destra italiano è stato capace di ricomporre le varie anime del capitalismo italiano e di cercare un collegamento più stretto con quella destra cattolica e ratzingeriana che tende a diffondere nella società civile i valori di un cattolicesimo intransigente.
In questo quadro la provocazione di Bossi, il suo invito a non pagare le tasse che a molti è apparso eversivo e illegale, è piuttosto un grido di disperazione, il tentativo di dire qualcosa di destra in una situazione politica nella quale il silenzio è rotto solo dalla descrizione del nuovo look del leader di Forza Italia, delle sue notti nei locali, delle sue compagnie femminili. E in cui si sono frantumate ad una ad una tutte le immagini che un centro destra forte avrebbe dovuto e potuto dare di sé.
Il governo dell'Unione quindi ha poco da temere da questa destra? E' probabile. Ha poco da temere da questo schieramento politico. Ma ha molto da temere lo stesso da un altro schieramento e da altri protagonisti della politica che non vengono definiti e non si definiscono di destra. A chi ci riferiamo? A chi di fronte alla manifestazione contro la precarietà del 20 ottobre pensa di farne una contrapposta con il sogno magari di riprodurre i fasti di quel 14 ottobre del 1980 che segnò la sconfitta alla Fiat dei sindacati e delle sinistra. A chi ritiene la precarietà un male minore di fronte alle esigenze del mercato e alla necessità del rigore economico. A chi crede - e sono veramente tanti - che sulle questioni del lavoro non c'è alcun bisogno di un intervento della politica. Che il compito di quest'ultima è se mai di intervenire quando il mercato e l'impresa gli unici detentori del potere di cambiare il lavoro, producono dei disastri sociali, mietono delle vittime che alla lunga potrebbero essere dannose per il sistema stesso. E' lo schieramento che non vuole sconfiggere la precarietà, ma se mai sostenerne l'estensione e fornendola di alcuni ammortizzatori sociali la cui assenza oggi la rende visibilmente discriminatoria.
Questo schieramento che non si definisce e non viene definito di destra e che ha al suo interno molto centro e parecchia Unione, in questi mesi di governo Prodi non si è indebolito, anzi è diventato più visibile. Le adesioni che vengono anche dallo schieramento del centro sinistra ad un eventuale manifestazione da contrapporre il 20 ottobre a quella della sinistra ne è la prova. Il sostegno che ad esso stanno dando anche coloro che non intendono aderirvi è un'altra dimostrazione di una pervasività di quelle idee che ormai ha scavalcato gli schieramenti tradizionali della politica.
Sono queste le idee di destra pericolose e da combattere oggi. L'altra, quella di Berlusconi, Fini e Casini per ora va a rimorchio.

il manifesto 18.8.07
Salvi: «Serve un chiarimento vero, siamo nati per l'unità a sinistra»
Il capogruppo di Sd in senato critica Angius e chiede una verifica col governo sul welfare
di Matteo Bartocci

Un «chiarimento strategico» dentro Sd e una «verifica politica» su lavoro e welfare con il governo Prodi. Pur trincerandosi dietro il «politichese» Cesare Salvi non nasconde come la pensa né sul movimento nato dalla scissione dai Ds né sulla fase durissima che aspetta la sinistra in autunno .
«Leggendo le ultime interviste di Angius su lavoro e precarietà - dice il capogruppo di Sinistra democratica in senato - mi sembra evidente che c'è stato un fraintendimento. Perché se non fosse così vorrebbe dire che la destra ha fatto la migliore delle leggi possibili. E invece noi abbiamo sempre detto tutto il contrario, sia quando eravamo all'opposizione sia in campagna elettorale. Chiunque abbia un minimo di familiarità con il mondo reale ha ben presente la totale sovrabbondanza di lavoro precario soprattutto tra i più giovani. Anche se il precariato c'era già da prima ed è stato legalizzato con il pacchetto Treu noi abbiamo criticato e critichiamo la legge 30 perché di sicuro non l'ha certo contrastato.
Più che un fraintendimento mi pare che dentro Sd si prefiguri quasi una scissione...
E' ormai evidente che c'è una sofferenza strategica di Sinistra democratica. Qual è il nostro compito? E' vero che siamo nati solo da pochi mesi ma ora è venuto il momento di prendere l'iniziativa. Credo che al seminario del direttivo di Orvieto (1-2 settembre, ndr) dovremo arrivare a un chiarimento vero tra di noi e rompere gli indugi.
Si rischia di spaccare ulteriormente un «cantiere» che già mostra le prime crepe.
La legge 30 è diventata un simbolo. E la sinistra, come spesso le accade, si compiace a dividersi sul nulla. Rischiamo di cincischiare per mesi e mesi sui sottosegretari e i ministri che vanno o non vanno a una manifestazione mentre il danno sociale al quale vogliamo mettere argine è serissimo e riguarda milioni di lavoratori.
Qual è il tuo giudizio sull'accordo firmato il 23 luglio da sindacati e governo?
E' una profonda delusione non tanto sul versante pensionistico quanto su quello che riguarda il lavoro. Le nuove regole sui contratti precari sono spaventosamente arretrate. Eppure sono riforme a costo zero, che non subiscono gli strali o le «compatibilità» di Almunia, Bini Smaghi o delle "brillanti" agenzie di rating all'opera in questi giorni sui mercati. Ci sono misure che semplicemente non vanno nella direzione giusta.
Quindi parteciperai alla manifestazione del 20 ottobre indetta dal manifesto e da Liberazione?
Io sono favorevole ad aderire. Altri non sono convinti perché si ha l'impressione che tempi e modi della convocazione siano stati decisi da altri e a noi si chieda semplicemente di accodarci. Il tema vero invece è il rapporto tra la sinistra e il governo. La sinistra non può limitarsi a gridare. Dobbiamo darci una strategia comune. Già i rapporti di forza sono quelli che sono, se continuiamo a discutere sul nulla c'è il rischio che a ottobre sia già tutto deciso. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che finora abbiamo perso tutti i passaggi cruciali di questo primo anno di governo. Scendere in piazza ad ottobre rischia di essere troppo tardi.
E quindi?
La mia posizione è che dovremmo chiedere una verifica politica con il governo e il resto della coalizione subito, già a settembre. Discutiamo pochi punti per noi fondamentali e avviamo su questi un confronto molto serio anche con lo stesso Romano Prodi. Dobbiamo farlo subito. Perché se si legge alla lettera il Dpef la prossima finanziaria rischia di essere insostenibile. Peggio di quella passata.
Angius e altri guardano alla «costituente socialista». Tu?
Io lavorerò fino all'ultimo per l'unità di tutta la sinistra italiana. Come Sd abbiamo il dovere di provarci. Se altri sceglieranno strade diverse si assumeranno le loro responsabilità.

Repubblica 18.8.07
Le carte segrete di Lawrence
Centinaia di inediti dell’autore di "L’amante di Lady Chatterley"

I documenti conservati dalla famiglia sono ora consultabili all´Università di Nottingham
Compaiono note su fatti del tempo come il grande sciopero dei minatori del '26
Nei quaderni c'è un testo che poi diventerà un capitolo del romanzo "Figli e amanti"
I "Clarke Papers", lettere, cartoline, appunti sono stati raccolti dalla sorella minore, Ada

LONDRA. Il lato nascosto di D. H. Lawrence, quello del fratello affezionato, dello zio che non dimentica mai di mandare una cartolina al nipote di 8 anni. Da qualche giorno sono consultabili all´università di Nottingham centinaia di scritti inediti dell´autore di L´amante di Lady Chatterley. Sono lettere, cartoline, quaderni di appunti e dipinti, che la famiglia aveva finora conservato. "The Clarke Papers", questo il nome con cui la collezione verrà catalogata, sono stati raccolti da Ada, la sorella minore di Lawrence, la Lettice delle lettere, una figura centrale nella vita dello scrittore. Gli inediti arricchiscono la collezione già fondamentale dell´università di Nottingham, dove Lawrence studiò, e dove ora si sta tenendo una mostra su lui e le donne, nella quale è stato possibile inserire alcuni pezzi dei «Clarke Papers».
I documenti hanno un valore inestimabile sia dal punto di vista delle ricerche, sia come oggetti da collezionismo. La famiglia di Lawrence li aveva già affidati all´Università di Nottingham perché li conservasse in modo appropriato. Ora le trattative affinché le carte fossero messe a disposizione degli studiosi sono giunte a conclusione. Fino a oggi la famiglia ha preferito non rendere pubblici i documenti anche perché in essi compaiono riferimenti espliciti a persone ancora in vita e perché, spiega Sean Matthews, direttore del centro di ricerca su Lawrence all´università, «si tratta di scritti talvolta commoventi, che mostrano il lato più intimo di un personaggio pubblico. Mostrano, di fatto, l´uomo di famiglia, che i suoi cari ricordano ancora con affetto e nostalgia».
Tra i "Clarke Papers" ci sono prime versioni di poesie e annotazioni sul lavoro di revisione, racconti brevi scritti da un giovanissimo Lawrence e tante lettere e cartoline. Nelle lettere alla sorella Ada si trovano l´uno vicino all´altro i resoconti delle difficoltà economiche, le frasi da «lessico famigliare» e commenti su eventi di cronaca, come ad esempio il grande sciopero dei minatori britannici del 1926. Lo scrittore fornisce notizie continue sul proprio lavoro, sui progressi fatti sia dal punto di vista letterario che editoriale, annotazioni che potranno offrire elementi fondamentali per comprendere la difficile carriera letteraria di Lawrence. Solo ben oltre la sua morte nel 1930, infatti, fu riconosciuto il valore internazionale di questo autore. I critici del suo tempo gli rimproverarono di non aver innovato come James Joyce e di aver descritto donne che non avevano il carattere rivoluzionario di quelle di Virginia Wolf.
Lawrence, che ha cantato un inno alla sensualità con L´amante di Lady Chatterley e ha lasciato straordinari resoconti dei suoi viaggi in tutto il mondo, autore prolifico di saggi, poesie, teatro, fu una figura scomoda, bollato subito dopo la morte come «fascista e sessista». Ci sono, tra i «Clarke Papers» anche lettere che membri della famiglia si scambiarono dopo la morte dello scrittore e che Ada inviò ad amiche, testi che indicano le disposizioni testamentarie di Lawrence, l´angoscia che lo colse negli ultimi periodi di vita in sanatorio (da cui andò via per morire «da uomo libero» il giorno prima del decesso), e tutta l´amarezza per le incomprensioni sulla sua opera.
Nelle cartoline che scrisse al figlio di Ada, Jack, si rivela il senso profondo della famiglia che accompagnò sempre le peregrinazioni di Lawrence. «Le cartoline sono deliziose», spiega Dorothy Johnston, direttrice dell´archivio dell´Università, «danno nuove chiavi di interpretazione dei rapporti fra lo scrittore e i parenti più stretti. Lawrence non ebbe figli, ma scrisse di bambini con grande trasporto. Quanto rivelano le cartoline del suo rapporto intimo con il nipote di 8 anni è molto interessante».
Densi di suggestioni e di spunti per la ricerca sono i due quaderni. Lawrence cominciò a prendere appunti quando era uno studente a Nottingham, dal 1906 al 1908, a 21 anni, e su uno dei due libriccini scrisse fino al 1911. Essi contengono poesie, bozze di racconti, annotazioni per soggetti, tra i quali un testo che diverrà poi il decimo capitolo del romanzo Figli e amanti. Gli appunti sono pieni di correzioni febbrili, di versioni emendate o ampliate di uno stesso testo, una testimonianza straordinaria del labor limae che caratterizza l´attività dello scrittore per tutta la sua vita: basta pensare che de L´amante di Lady Chatterley esistono tre versioni successive e che anche nel periodo in cui la tubercolosi minava le sue forze, Lawrence non smise mai di rivedere e aggiustare.
«I «Clarke Papers» sono l´ultimo grande corpus letterario che contiene sia materiale biografico che significativi testi originali di Lawrence», conclude Dorothy Johnston. Di sicuro la possibilità di consultare i «Clarke Papers» terrà impegnati gli studiosi per parecchi anni e c´è da attendersi un fiorire di nuove pubblicazioni su Lawrence, vista la diffusa presenza di elementi autobiografici in tutta la sua opera.

Repubblica 18.8.07
Un saggio di Franco Cardini sul “Decameron”
Boccaccio e il trionfo della vita
di Adriano Prosperi

Se nelle Mille e una notte il raccontar novelle è un buon modo per evitare la morte al narratore, si può immaginare che lo stesso espediente valga per allontanarne il pensiero nei lettori. E qui la scelta è varia e ognuno può provare a immaginare quale libro vorrebbe per compagno in simili frangenti. Viene in mente quel fabbro ligure del ´600 che, alla vigilia dell´esecuzione capitale, chiese alla moglie di portargli l´Orlando Furioso per rileggerlo durante quell´ultima notte. Se poi chi racconta le novelle è Giovanni Boccaccio gli si può far credito di meriti speciali nel portare la mente del lettore lontano da immagini di morte. Eppure il suo Decameron, avverte Franco Cardini (Le cento novelle contro la morte. Giovanni Boccaccio e la rifondazione cavalleresca del mondo, Salerno editrice, pagg. 160, euro 11) non fu un´opera di evasione. Nata nel contesto di una tragedia collettiva di proporzioni inaudite - la Peste Nera del 1348, il più spaventoso attacco da altre forme di vita subìto dalla specie umana nel corso della storia dell´Europa cristiana - quell´opera fu una meditata risposta alla tragedia. Con essa l´autore cercò di «rifondare il mondo» (così Cardini), cioè di trovare davanti alla violenza terribile della morte collettiva una ragione perché i dieci giovani rifugiatisi in villa potessero alla fine affrontare di nuovo la realtà armati di una ritrovata regola di vita.
Questo libro che l´autore presenta discretamente come un primo regesto di anni di studio e di amore per il grande capolavoro di Boccaccio, è un´occasione da non trascurare, non foss´altro che per rileggere il Decameron, capolavoro grandissimo e lettura tanto deliziosa quanto - temiamo - sempre meno familiare agli italiani. Ma Cardini va al di là del piacere della rilettura: la sua intenzione è quella di guidarci da storico a scoprire l´itinerario morale disegnato dall´autore nella tessitura delle dieci giornate, così come si studia il significato storico del viaggio dantesco nell´oltremondo della Divina Commedia.
Quel modello era ben presente alla mente di Boccaccio, come sappiamo; e la struttura del Decameron è chiaramente esemplata su quella della Commedia dantesca, amatissima e attentamente chiosata dallo scrittore di Certaldo. Una Commedia tutta umana la sua, si è detto spesso, un mondo borghese che guarda al sopramondo religioso con la spregiudicatezza di ser Ciappelletto. Nel momento in cui la peste appariva come lo strumento scelto da Dio per quella fine del mondo che i cristiani attendevano da secoli ecco farsi avanti con Boccaccio le seduzioni del mondo, le donne e i cavalieri, le cortesie, le amorose e audaci imprese.
Questa immagine vulgata di un Boccaccio narratore di un mondo moderno che si lascia alle spalle l´ascetismo medievale e inaugura una civiltà mercantile e borghese è qui messa in discussione da Franco Cardini. Il suo saggio richiama l´attenzione sulla struttura dell´opera, ne mette in evidenza la cornice, analizza il percorso dell´educazione sentimentale dei giovani intenti a raccontare storie sulla incantevole collina (quasi una «montagna incantata» ante litteram). Secondo lui, ben lungi dal guardare davanti a sé in direzione del mondo borghese il cui sangue pulsava già da tempo nelle vene di mercanti e banchieri, lo scrittore di Certaldo si volgeva indietro, verso i valori e gli ideali del mondo cavalleresco.
Leggendo le pagine di Cardini, come sempre narrativamente accattivanti e costruite capitalizzando lunghe frequentazioni dei testi, viene in mente il celebre affresco coetaneo del Decameron e dipinto sulle pareti del Camposanto di Pisa da un pittore che fu specialmente vicino a Boccaccio e al Decameron: la brigata di giovani riunita nel giardino fiorito è una precisa allusione al gruppo dei narratori messo in gioco dal Boccaccio. Giuliano Briganti individuò in Bruno Buffalmacco, l´eroe delle burle al povero Calandrino, il pittore di quello stupendo affresco: lì il trionfo della Morte davanti al cui potere si arresta la lieta cavalcata dei cacciatori incombe su di un paesaggio dove le vie di fuga suggerite sembrano essere quelle dei santi romiti che popolavano allora i gioghi dell´Appennino e vi rimasero fino ai tempi di Machiavelli.
E tuttavia non l´ascetismo dei romiti ma le regole di una superiore moralità cavalleresca trionfante nella sublimazione del desiderio amoroso (così in Matelda e in Federigo degli Alderighi), costituiscono secondo Franco Cardini le proposte avanzate da Boccaccio per la sua «rifondazione del mondo». Davanti alla spaventosa tragedia della Morte Nera l´opera di Boccaccio ritorna ai fondamenti morali elaborati nell´epoca ormai lontana della nobile cavalleria: e la primavera della modernità ha in lui i colori dell´autunno del Medioevo. Un fatto è certo: anche qui, come osservava Walter Benjamin commentando il dipinto di Paul Klee, l´angelo della storia investito dal vento del mutamento avanza verso l´ignoto futuro con lo sguardo fisso al mondo rimasto alle sue spalle.

Repubblica Lettere 18.8.07
Mi chiamo Anna F. e sono una ragazza di venticinque anni.

Scrivo questa lettera con la speranza che possa gettare luce su una realtà che molti non conoscono, e affinché chi la legga (e soprattutto i politici) capisca a quali drammi vanno incontro tante persone.

Sono circa quattro anni che mio fratello maggiore soffre di problemi psicologici e sono quattro anni che in famiglia stiamo soffrendo perché nessuno ha fatto niente per aiutarci.

Purtroppo quando mio fratello sta male rompe tutto. E picchia anche me e i miei genitori, che più volte sono stati costretti a chiamare i carabinieri. Ora mio fratello si trova nel carcere di Poggioreale.

Noi, come famiglia, abbiamo più volte chiesto aiuto al Csm di Ercolano, ma la loro risposta è stata sempre la stessa e cioè: "Se lui non vuole curarsi noi non possiamo fare niente". E non vi dico l'indifferenza con cui lo dicevano.

Ma noi siamo andati oltre e abbiamo mandato una lettera al ministero della Salute (che ci ha risposto ma non ci ha aiutato),poi ci siamo rivolti al sindaco il quale, a sua volta, ha inviato una lettera all'Asl e al Csm ma, come sempre, non si è risolto niente.

Io ora, da sorella di un ragazzo che soffre di questi problemi, mi domando come è possibile che in Italia non esista una legge che possa aiutare queste persone.

Io non parlo di un obbligo a metterle in manicomio, ma della possibilità di curarle. E poterlo fare in strutture adeguate.

Nessuno che non lo abbia vissuto di persona può capire la sofferenza che si può provare a dover mandare in carcere un proprio caro (noi siamo stati costretti a mandare in carcere mio fratello più di una volta).

Lui è un ragazzo di ventisei anni che andrebbe aiutato ma noi da soli non ce la facciamo e adesso non sappiamo più che fare.

Siamo costretti a vedere giorno dopo giorno distruggersi la vita di un ragazzo che potrebbe ancora salvarsi (perché non ha perso il senno), ed è una cosa straziante che non auguro a nessuno!

Lettera firmata