venerdì 17 agosto 2007

Liberazione 17.8.07
Sul tedesco "Die Zeit" e sul francese "Le Monde"
"Die Linke" la sinistra che parla all'Europa
di Stefano Bocconetti

Il sondaggio tedesco di un settimanale, l'articolo di un giornale francese. Anzi, del giornale francese per definizione: Le Monde. Raccontano di quel che sta accadendo nel paese della Merkel. Ma in realtà parlano al resto dell'Europa, forse parlano anche all'Italia. Almeno a chi vuol capire.
Vediamo di che si tratta. Fatti veri e propri non ce ne sono, beninteso. Quanto piuttosto "umori", tendenze. Che a differenza di quanto avviene in Italia, i settimanali tedeschi non smettono di indagare, neanche d'estate. Die Zeit ha così scoperto che dopo due anni di governo di grande coalizione, cresce in Germania la voglia di sinistra. I primi segnali li aveva avuti mettendo insieme centinaia di affermazioni di dirigenti politici, di documenti. Poi l'ha verificato con un sondaggio: e ha scoperto che tanti - elettori di tutti i partiti, anche quelli di destra - chiedono l'aumento dei salari, chiedono che l'età pensionabile sia abbassata, riportata a livelli più umani. Chiedono la fine delle privatizzazioni selvagge. Chiedono il ritorno dello Stato, innanzitutto per ciò che riguarda l'istruzione (è addirittura la richiesta del 71% di chi ha votato il partito della Merkel). Temi che ovunque, anche in Germania, sono quelli cari alla sinistra. Sono i suoi obiettivi, le sue parole d'ordine. Di più: il settimanale ha fatto rivolgere una domanda esplicita alle persone usate come test. E ha scoperto che quel sentimento diffuso, quella "voglia di sinistra", si trasferisce - meglio: potrebbe trasferirsi - nel comportamento elettorale. Ad una domanda ("si sente di sinistra?") ha risposto di sì addirittura il 34% degli intervistati. I sondaggisti poi spiegano che è il doppio di sei anni fa. Un "bacino" rilevante che in qualche modo già comincia ad orientarsi. Se è vero che le ultime rilevazioni accreditano Die Linke (la neonata formazione, nata dalla fusione fra la sinistra socialdemocratica di Lafontaine e la Pds di Gregor Gysi, che era radicata soprattutto all'Est) ad una percentuale che va dall'11 al 14 per cento. Alle elezioni, due anni fa, prese l'8 e mezzo.
L'argomento - forse per opposizione in un paese, la Francia, dove la sinistra s'è dispersa in mille rivoli, insignificanti o poco più - ha incuriosito la redazione di Le Monde . Che in qualche modo è voluta andare a vedere cosa accadeva al di là del confine orientale. E scoprire così che Die Linke è già molto di più di quanto si dica. E' molto di più, anche organizzativamente. Se in soli due mesi - "ufficialmente" il partito è nato il 17 giugno, in contemporanea con la nascita della Sinistra europea in Italia - ha già tremila iscritti in più. Tutti provenienti dalle fila dei socialdemocratici e dei verdi. Ma è molto di più soprattutto "politicamente". Sì, perché un rapido giro di pareri fra alcuni dirigenti sindacali - tutti, come è ovvio, di estrazione socialdemocratica - racconta che la sinistra unita è percepita come «qualcosa» che serve. Che è indispensabile. La battaglia della Linke per l'aumento dei salari minimi, contro la "riforma" dei sussidi (anche in Germania i tagli al welfare si spacciano per riforme). La sua battaglia contro la privatizzazione della Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche. Le sue controproposte. Un insieme di vertenze, di comportamenti, di analisi, di obiettivi che fanno apparire Die Linke come una sinistra radicale ma anche «seria, affidabile» (si usano le virgolette perché è la definzione di uno dei dirigenti del sindacato dei pubblici dipendenti della Renania, che, con un groppo alla gola, annuncia di lasciare i socialdemocratici dopo 35 anni di militanza). Una sinistra «indispensabile».
Fin qui i giornali, le loro analisi. Complete. Resta una domanda. Molto "provinciale", se vogliamo: ma tutto questo parla anche all'Italia? Probabilmente anche la semplice formulazione del quesito potrà far arrabbiare qualcuno. Là, a Berlino, c'è una Grosse Koalition, che fa seguito ad un governo socialdemocratico, drammaticamente spostato a destra. Soprattutto sul piano sociale. Lì in qualche modo è stato tutto se non più semplice, più lineare. Più chiaro. Ma le domande restano lo stesso. Piccole domande. Quelle che arrivano spontanee, pensando che lì, in Germania, l'unità della sinistra è stata costruita sulle cose da fare. Sulle cose da cambiare. Sul programma, come si usa dire dalle nostre parti. Su quello hanno costruito l'unità e su quello - tutto fa capire - potrebbero vincere. Non come da noi, dove tanti - tanti Angius di turno per capire - prima di imbarcarsi in progetti unitari chiedono di verificare se nel Dna di tutti ci siano sufficienti dosi di «cultura di governo». Lì, in Germania hanno scelto un'altra strada: sono partiti da obiettivi concreti. E da lì, si sono mossi per costruire una sinistra unita che oggi fa una proposta di governo. Per governare il paese (assieme ai socialdemocratici), e intanto governa la capitale. Ma forse sono davvero paragoni molto, troppo "provinciali". Forse davvero sono interrogativi banali. Che farebbero torto al rigore e alla serietà di quei due articoli. Domande estive, insomma. Nulla di più.

l’Unità 17.8.07
Angius: da Sd troppi errori, diciamo no al corteo anti-governo
Il numero due di Sinistra democratica ora guarda all’«area del socialismo»
di Wanda Marra

«Non rinuncio a far nascere una forza socialista e democratica, che si collochi nel campo del socialismo europeo». Gavino Angius, tra i leader di Sinistra democratica, mentre non lesina le critiche né alla possibile futura Cosa Rossa, né al Partito
democratico, rilancia la possibilità e la legittimità di una “terza via”. E annuncia «una sorpresa» per chi a sinistra non si riconosce in questi due percorsi paralleli.
Nel dibattito politico di questi giorni sono al primo posto le divergenze nell’Unione sul welfare. Lei cosa ne pensa?
«C’è un intreccio perverso nel dibattito in corso, tra le nuove politiche sociali ed economiche, con le diverse posizioni nel merito e le questioni politiche, con la ricerca di nuovi ruoli, penso a Rifondazione, e nuovi equilibri, e penso alle forze più moderate del centrosinistra. Insomma, una materia serissima, come il welfare viene usata per manovre politiche. Questo determina una degenerazione propagandistica e grottesca, foriera di nuove e crescenti difficoltà, per l’Unione, il centrosinistra e il governo. Per quel che riguarda in particolare le problematiche del mercato del lavoro, ci si sta misurando con una delle questioni più rilevanti del nostro tempo. Non è negativa l’ occupazione flessibile, ma lo è che le imprese utilizzino le norme per protrarre la precarietà delle persone fino ai 30-35-40 anni. Nuove politiche del lavoro sono necessarie. ma bisogna vedere come e perché. E trovo intollerabile che una simile questione venga utilizzata per esercitare forme di aut aut al governo e alle altre forze della coalizione, come fa Rifondazione».
Sono possibili effettivamente maggioranze di nuovo conio?
«Si risponde a una posizione sbagliata come quella di Rc, con un’altra posizione altrettanto sbagliata: le maggioranze di nuovo conio prefigurano l’uscita dalla coalizione del Prc, con l’entrata dell’Udc. Posizione che porterebbe inevitabilmente alla crisi di governo. Non vedo altra possibilità. Ma c’è da interrogarsi sul perché Rc stia acquisendo questo spazio».
Che risposta si dà?
«L’uso spregiudicato che sta facendo Rc dei temi della precarietà e delle pensioni mi ricorda le 35 ore del lavoro settimanale dell’ottobre del ‘98. Sappiamo tutti come andò a finire: è caduto il governo e di 35 ore non si è parlato più. Credo ci siano stati una serie di errori fondamentali a monte, visto l’inconsistente profilo identitario del cosiddetto Pd. Si sta realizzando il dissolvimento dei Ds: questo lascia un vuoto pazzesco a sinistra, con le irrisolte contraddizioni politiche dentro l’Unione e il governo. Sono i danni causati dalla dissennatezza di chi ha voluto il Pd in questo modo. Ho sempre sostenuto che non andava bene un Pd come questo, estraneo al pensiero socialdemocratico. Così si dà un potere enorme alla sinistra radicale».
Andiamo con ordine. Mentre il cammino della Cosa Rossa sembra sempre più in salita, le posizioni dentro Sinistra democratica sembrano divergere sempre più, con l’area che a lei fa capo, per esempio, che ha condannato senza appello la manifestazione del 20 ottobre lanciata da Liberazione e dal Manifesto e quella che fa capo a Mussi, che invece è molto più possibilista sulla partecipazione. Cosa sta succedendo?
«Inizio dalla manifestazione, che non so se si farà, e che dovrebbe avvenire nel pieno della Finanziaria e dell’aspro scontro tra governo e Cdl. Lo considero un enorme errore strategico. L’idea dei dirigenti di Rc è che questa manifestazione sia una sorta di atto fondativo di massa della Cosa rossa, in quanto dovrebbe rappresentare in forma pressoché esclusiva il mondo del lavoro: mi sembra una pretesa assurda, tanto più visto che è contro il sindacato e il governo. Penso che sia un errore che Sd non abbia preso una posizione netta contro questa manifestazione. Quanto all’effettiva nascita della Cosa Rossa credo si tratti di una strada senza ritorno e che qualcosa la si farà. Ma mi auguro e spero che Sd non compia quest’ulteriore errore. Non ho considerato positivamente che si sia sempre più appiattita su Rc, sino ad arrivare ad iniziative comuni».
Qual è l’alternativa?
«Credo che molti abbiano aderito a Sd nel nome dell’appartenenza al campo politico non della Cosa rossa, ma del socialismo europeo, al quale Rc o il Pdci sono totalmente estranei, anzi lo considerano un nemico da battere. Invito a una riflessione i compagni dei Ds, i dirigenti, i militanti, gli elettori. Quello che sta avvenendo non è stato attentamente valutato al momento del congresso. Non voglio solo banalmente dire di aver avuto ragione. Ma è importante una riflessione sulle vicende congressuali e i modi in cui viene a formarsi il Pd, con lo scontro di potere, un debole profilo identitario, la nascita prima delle correnti e poi del partito vero e proprio e il rischio che la sinistra sia una componente non dico minoritaria, ma in seria difficoltà».
Il 17 luglio del 2006 nel Consiglio nazionale dei Ds lei si astenne sulla relazione di Fassino, per come si stava realizzando il Pd...
«Ho letto sull’Unità Chiti e Bersani, che hanno denunciato il rischio di verticismo e di poca rappresentanza della sinistra nel Pd, con un certo interesse e anche un certo stupore. Entrambi, che stimo moltissimo, hanno utilizzato espressioni da me già usate nella scorsa campagna congressuale, che però giungono con un certo ritardo, “A babbo morto”, per usare un’espressione trita».
Ma per esempio tra le liste che sostengono Veltroni ce n’è anche una, A sinistra, fatta da persone che hanno condotto con lei la campagna congressuale...
«La sinistra dovrebbe essere rappresentata da tutta la componente Ds, non solo da una parte. Penso che il problema fondamentale sia l’assenza di una forza socialista, democratica, socialdemocratica, appartenente al campo del socialismo europeo. Non si tratta di una questione meramente identitaria, ma di scelte in campo di politiche sociali, economiche, del lavoro. È qualcosa di molto corposo e rilevante. Se la situazione è questa, non bisogna meravigliarsi che poi a sinistra spunti una Cosa rossa, che se nascesse in questo modo forse sarebbe un inatteso regalo al Pd. Ma può darsi che nasca qualcosa di diverso a sinistra».
E dunque lei come si colloca? A cosa pensa esattamente?
«Non rinuncio a far nascere una forza socialista e democratica. C’è una larga fetta di elettorato che non si riconosce né nel Pd, né nella Cosa Rossa, e in mezzo non c’è niente. Ci saranno delle proposte e delle sorprese»
Qualche anticipazione?
«Una sorpresa è una sorpresa.La vedremo alla fine del mese. Può essere che attorno all’ idea di far nascere una forza socialista e democratica ci siano molte più forze di quanto oggi si creda. Si tratta di offrire una sede, un’occasione, un’opportunità a chi è critico del Pd e della Cosa rossa. E di portare avanti maggior rigore, serietà, coerenza di pensiero e di azione politica».
Ma con chi pensa di fare questa forza? Con Boselli? Con De MIchelis? Recuperando pezzi dei Ds?
«Ci stiamo lavorando».

Corriere della Sera 17.8.07
Affondo su Giordano: usano la vicenda per catalizzare il consenso
Angius: il Prc e la legge Biagi? Un veto sbagliato e strumentale
L' ex ds avversario da sinistra del Pd: folle eliminare norme anti lavoro nero «Speriamo che la manifestazione del 20 ottobre alla fine non si faccia»
di Marro Enrico

ROMA - L' attacco scatenato da Rifondazione comunista e dalle altre forze della sinistra radicale alla legge Biagi è «sbagliato e strumentale» perché «figlio di una degenerazione propagandistica che ha del grottesco, in quanto prodotta da un partito che sta al governo, ma che evidentemente è alla ricerca di nuovi equilibri politici a sinistra». A bocciare così Franco Giordano e gli altri leader massimalisti che il 20 ottobre saranno in piazza anche per chiedere l' abolizione della legge Biagi non è un esponente dell' opposizione di centrodestra, ma Gavino Angius, vicepresidente del Senato, già dirigente di spicco dei Ds, poi tra gli animatori di Sinistra democratica, la formazione promossa da Fabio Mussi e Cesare Salvi per dar voce ai diessini contrari al Partito democratico. Che però, secondo Angius, rischiano di finire risucchiati dalle posizioni di Rifondazione, come si vede, da ultimo, sulla legge Biagi. Anche per questo il senatore rimarca con parole nette la sua contrarietà alla manifestazione del 20 ottobre e stigmatizza «il silenzio dei Ds e del Partito democratico», su tutta questa partita. «Rifondazione comunista - dice Angius - utilizza la lotta contro la legge Biagi come un catalizzatore di consenso per conquistare uno spazio politico nei confronti del sindacato e del nascente Partito democratico. Ma è inaccettabile usare in maniera strumentale questa questione, prescindendo dal merito. E invece volano sciabolate da tutte le parti, con rischio di lasciare sul campo solo morti e feriti». I dati, continua, smentiscono le tesi di Giordano e compagni, come anche quelle del comico Beppe Grillo, che alla pari dei rifondaroli ha accusato la Biagi di essere all' origine del dilagare della precarietà. «In questi anni - dice Angius - il lavoro regolare, ancorché flessibile, è aumentato per milioni di giovani. Merito della legge Treu e in parte anche della Biagi. In questo modo si è contrastato in parte il lavoro nero. Perciò eliminare queste leggi sarebbe un' operazione folle». Tutto bene allora? Niente affatto, replica Angius: «Resta il fatto che il lavoro precario coinvolge 5 milioni di persone e c' è un problema in particolare per chi si trova ancora in questa condizione sebbene abbia un' età di 30 o 40 anni. Non è accettabile, insomma, che la precarietà si prolunghi per troppo tempo. Qui servono politiche del lavoro nuove». Ma questo, conclude il senatore, non c' entra con l' abolizione della Biagi. In questo senso, l' accordo del 23 luglio fra governo e sindacati su pensioni e welfare «è importante, ma è solo un primo passo nella direzione giusta, che sarebbe bene fosse seguito rapidamente da altri provvedimenti». Di questo bisognerebbe discutere, insiste Angius. E invece siamo alle battaglie di retroguardia: questa di Rifondazione contro la Biagi «mi ricorda quella del 1998 per le 35 ore settimanali e tutti sappiamo come andò a finire...», cioè con la caduta del primo governo Prodi. Il vicepresidente del Senato non si sbilancia in previsioni, ma si augura «che non si arrivi alla manifestazione del 20 ottobre: una sorta di redde rationem all' interno della coalizione promosso da un partito di governo contro lo stesso governo». Un' iniziativa che potrebbe rivelarsi molto rischiosa per la stabilità dell' esecutivo, «a maggior ragione se ci dovessero essere ministri in piazza». Un governo già debole, osserva Angius, che avrebbe invece bisogno di un sostegno per reggere all' aut aut di Giordano che dice: o si toglie di mezzo la Biagi o Rifondazione non voterà i provvedimenti per applicare l' accordo del 23 luglio. L' autunno si annuncia caldo, concordano tutti. Purtroppo, dice sconsolato il senatore, «il dissolvimento dei Ds e l' inconsistente profilo identitario del Partito democratico, che, guarda caso, su questa materia non dice nulla, hanno lasciato tutto questo spazio alla pretesa assurda di Rifondazione comunista di rappresentare in maniera esclusiva tutto il mondo del lavoro. Una pretesa che del resto loro stessi dichiarano e che va contro il governo e i sindacati». È chiaro che con questa piega che ha preso il dibattito a sinistra Angius non vuole avere nulla a che fare. Nessuna sorpresa, quindi, che non abbia condiviso le ultime scelte di Mussi: «Vedo una deriva verso la nascita della Cosa rossa e penso che sia un errore. Molti di noi non hanno aderito al Partito democratico per preservare in Italia una forza appartenente al socialismo europeo». E non per finire nelle braccia di Rifondazione. Angius guarda ora soprattutto in direzione dello Sdi mentre volgendo gli occhi al Partito democratico e alle primarie che dovrebbero incoronare Walter Veltroni vede solo una lotta di potere, «perché non si è mai visto nascere le correnti prima di un partito». Non ci sono più i Ds, il Partito democratico non c' è ancora e comunque, secondo l' ex capogruppo dei Ds al Senato, non sarà mai sufficientemente di sinistra. E la Sinistra democratica non ha ancora trovato la sua strada. Così al vecchio comunista Gavino Angius non resta che lanciare l' allarme sul fatto che a sinistra non c' è più nessuno che sappia fare da argine a Rifondazione.

Repubblica 17.8.07
La prima uscita del sindaco sarà un dibattito sui sentimenti in politica
Il ritorno di Veltroni "Parlerò dell'amore"
di Alessandra Longo

«Ma quello non è Veltroni? Sindaco, possiamo fare una foto insieme?». Il candidato leader del Partito democratico è sotto l´ombrellone, in prima fila, in uno stabilimento balneare di Sperlonga, meglio conosciuta come «La perla del Tirreno», già residenza di Tiberio l´imperatore, oggi amministrata dal centrodestra perché, alle ultime elezioni del 2006, lo slogan dell´Ulivo, «Diamo speranza agli sperlongani», non ha funzionato. Ecco Veltroni, reduce dall´atollo maldiviano di Lhaviyani, abbronzatissimo, in pantaloncini da mare blu, circondato da una folta delegazione di bagnanti che, sfidando la sabbia bollente, non lo molla e gli si para davanti alla sdraio: «Sindaco, le posso offrire un caffè?; Veltroni, coraggio, vada avanti così, c´è bisogno di lei; Scusi, mi fa un autografo qui?».
«Cose che fanno piacere», dice lui, affiancato dalla moglie Flavia e dalla figlia Vittoria, 17 anni, anche loro bronze doré dopo due settimane sull´isola-paradiso di Madhiriguraidhoo, tra delfini e pesci Napoleone.
Parlare di politica? C´è tempo, grazie. La vacanza, ancora per poco, continua, tra Sperlonga e Sabaudia, a un´ora dalla capitale, stesso fuso orario. Il Veltroni sindaco, arrivato qui senza scorta, con la sua macchina privata, è già operativo, ha ripreso i contatti (telefonici) con il Campidoglio, ma il Veltroni candidato segretario del Pd si concede un supplemento di vita privata prima di tornare sotto i riflettori. Per la delusione di Rosy Bindi, che da giorni lo invoca e lo aspetta al varco, la prima uscita pubblica sarà sabato prossimo, a Fondi, nel chiostro dell´ex convento di San Domenico. Dibattito a tre con monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, autore del libro «L´amore cristiano» e Andrea Riccardi, fondatore di quella Comunità di Sant´Egidio da sempre molto in sintonia con il sindaco. Tema della serata: «Ha ancora senso l´amore?». Nella nota di presentazione Veltroni viene definito «uomo di condivisioni sociali e di proficua dialettica, esponente di una cultura umanistica di formazione laica».
L´amore, dunque, («Illusione buonista o sfida per la politica?») e non il nodo delle alleanze o la polemica sulla corsa degli apparati Ds e Dl a posizionarsi nel nuovo soggetto politico. Veltroni si prepara. Sotto l´ombrellone, quando finisce il pellegrinaggio degli estimatori, ripassa il volume di Paglia. E ne ha altri due in lettura: «Lo specchio del diavolo» di Giorgio Ruffolo, «una storia dell´economia dal paradiso terrestre all´inferno della finanza» e , per il sollievo dei laici e degli atei, «Non abusare di Dio», di Gian Enrico Rusconi. Va da sé, gli resta poco tempo per nuotare.

Repubblica 17.8.07
L’invenzione è la specialità degli umani
Un cervello più complesso che ci distingue dagli animali
Dall’uso del fuoco alle nuove tecnologie
di Luca e Francesco Cavalli-Sforza

La rivoluzione industriale genera una nuova ondata di mezzi di trasporto e di comunicazione
La creazione di un linguaggio perfezionato ha permesso la relazione tra gli individui
È la capacità di accendere un falò che consente all´uomo di affrontare ambienti diversi
I primi strumenti sono rozzi ma efficaci: semplici ciottoli scheggiati, utili a procurarsi il cibo

Cosa significa "evoluzione"? Prima di tutto, aumento di varietà, progressiva differenziazione e trasformazione. Questo comporta spesso, ma non sempre, un aumento di complessità. Significa infine - e questo punto è fondamentale - miglioramento della capacità di interagire con l´ambiente.
La caratteristica principale della vita è la capacità di produrre copie di se stessi. Solo gli organismi che si riproducono continuano ad esistere nelle generazioni successive: gli altri sono destinati ad estinguersi. I batteri si dividono in due. Da una patata rotta in più pezzetti nascono altrettante patate. In questi casi i figli sono identici al genitore: se non fosse per le occasionali mutazioni, non ci sarebbe mai alcun cambiamento. Moltissime piante, e quasi tutti gli animali, si riproducono invece per via sessuale: per dare origine a un figlio sono necessari due genitori, che mescolano i propri patrimoni biologici. In questi casi i figli somigliano un po´ all´uno e un po´ all´altro dei genitori, ma sono diversi da entrambi e sono diversi tra di loro: ciascuno di noi ne avrà fatto esperienza, se ha più figli o più fratelli (che non siano gemelli identici).
È facile capire perché la riproduzione sessuale abbia avuto tanto successo, nel corso della storia della vita: una certa varietà aiuta ad affrontare le sfide che l´ambiente pone. Se l´ambiente fosse sempre lo stesso, non ci sarebbe bisogno di questa varietà: un batterio, una patata o un uomo, ben adattati all´ambiente in cui nascono, potrebbero in teoria riprodursi sempre uguali a se stessi; cambiare sarebbe inutile, anzi magari controproducente. Ma l´ambiente cambia di continuo, ed è così che diversi tipi hanno un successo maggiore o minore: alcuni crescono fino all´età adulta e si riproducono, altri hanno maggiore difficoltà a farlo. Di generazione in generazione, si affermano quindi gli organismi che riescono ad interagire con più efficacia con l´ambiente in cui vivono. Nel corso di questo processo, alcuni tipi prosperano, mentre altri scompaiono.
Si tratta però di un processo lentissimo, che va avanti di un passo solo ad ogni cambio di generazione. Le mutazioni sono rare, e non hanno di solito un impatto particolarmente drammatico. Se un certo tipo di becco, per esempio, permette di nutrirsi di un certo tipo di seme, particolarmente abbondante e nutriente, nel corso del tempo si affermeranno gli uccelli muniti di quel tipo di becco, ma occorreranno parecchie generazioni.
La caratteristica che ha reso gli esseri umani così speciali e distinti dalle altre specie viventi è la nostra inventività, intesa come la capacità di costruire strumenti che ci permettono di interagire con particolare efficacia con il nostro ambiente. Nei luoghi abitati dai più lontani antenati cui diamo il nome di uomini è stata trovata una grande quantità di pietre lavorate: all´inizio si tratta di ciottoli rozzamente scheggiati, ma utili a procurarsi fonti di cibo altrimenti inaccessibili, come il midollo contenuto nelle ossa di animali morti (magari uccisi da predatori, le cui zanne non sono però in grado di rompere le ossa), oppure fonti di nutrimento sotterranee, come tuberi e radici, o frutti protetti da una dura scorza. Questi primi strumenti sono rozzi, ma efficaci, ed è significativo che accompagnino le ossa dei più antichi esseri umani: si direbbe che la comparsa del genere umano sia concomitante alla comparsa delle prime manifestazioni culturali.
Gli uomini più antichi sono stati datati a quasi tre milioni di anni fa. Si pensa che i primissimi strumenti non fossero in realtà di pietra, ma di legno, che però non si conserva per un tempo così lungo. Nei milioni di anni successivi e attraverso il susseguirsi di più tipi umani, con caratteristiche fisiche che mutano notevolmente nel tempo, la produzione di strumenti si fa via via più perfezionata; compaiono utensili destinati alle più diverse mansioni: spezzare, tagliare, raschiare, lisciare, forare e così via, in corrispondenza di una capacità sempre più articolata di intervento sull´ambiente naturale.
Non sappiamo a quando risalga il controllo del fuoco: la testimonianza finora più antica è stata trovata in Kenya ed è datata a 1,6 milioni di anni fa. È un fuoco da campo che dev´essere rimasto acceso per più giorni consecutivi, attorniato da migliaia di frammenti di pietra lavorata e di ossa di animali. Sappiamo che a partire da poco meno di due milioni di anni fa l´uomo antico inizia a diffondersi dall´Africa orientale, dove è comparso: raggiungerà l´Europa meridionale, il Caucaso, l´Asia centrale, la Cina, l´Estremo Oriente, ed è facile immaginare che sia stata proprio la capacità di usare il fuoco a metterlo in grado di affrontare gli ambienti più diversi. La fiamma non solo fornisce calore, luce e protezione, ma permette di cuocere il cibo, uccidendo così la maggior parte dei parassiti e rendendolo molto più digeribile, oltre che più gustoso; è utile nella caccia; permette di intervenire sull´ambiente per liberarlo dalla vegetazione o per ripulire, ad esempio, una grotta. Al fuoco si lavorano il legno e la pietra, come la pelle e pressoché ogni altro materiale.
È anche probabile che la scomparsa del pelo corporeo (siamo gli unici primati nudi) sia stata favorita dall´impiego del fuoco, che è un pericolo per un animale coperto di pelliccia. Alla perdita del pelo, come alla diffusione al Vecchio Mondo, avrà contribuito poi un´altra invenzione: la capacità di fabbricarsi abiti, utili a sottrarsi al rigore delle stagioni, lontano dall´Equatore.
L´invenzione di strumenti che permettono un migliore adattamento all´ambiente accompagna così il genere umano fin dalle origini, dandogli per così dire quella "marcia in più", rispetto agli altri animali, che gli permette non solo di adattarsi più velocemente al mondo che ha intorno ma anche di adattarlo, in qualche misura, alle proprie esigenze. È un´evoluzione squisitamente culturale, che da un lato permette un´accelerazione fortissima rispetto ai tempi dell´evoluzione biologica (che è di necessità piuttosto lenta in una specie che si riproduce solo ogni venti o trent´anni), e dall´altro ha probabilmente consentito di accelerare la nostra stessa evoluzione biologica. Il succedersi dei diversi tipi umani è stato accompagnato da un rapido sviluppo del cervello. A cosa può essere stata dovuta questa rapidità? Può essere stata favorita proprio dal fatto che c´era modo di mettere a profitto un cervello più sviluppato: una volta liberate dalle necessità della deambulazione, le mani sono state messe in grado di "dialogare" col cervello e di dare origine ad invenzioni nuove, o di perfezionare quelle già esistenti. Un cervello più complesso, insomma, si sarebbe rivelato più utile alle specie umane che ad altre specie costrette ad impiegare tutti i propri arti negli spostamenti, e quindi di necessità meno capaci di utilizzare nuove tecnologie.
Lo sviluppo della struttura ossea e del cranio - e probabilmente anche quello del cervello - raggiunge il grado attuale intorno ai 150.000 anni fa, con la comparsa dell´uomo moderno, cioè della specie umana che abita il mondo oggi (Homo sapiens sapiens). Se le invenzioni dei primi due milioni e mezzo o più di anni possono essere ricondotte direttamente all´impiego delle mani, con l´uomo moderno sono gli strumenti di comunicazione ad assumere un´importanza via via maggiore. Probabilmente, la sua invenzione fondamentale è stata un linguaggio perfezionato, tale da permettere un´eccellente comunicazione fra individui. Si pensa oggi che sia stato questo a rendere possibile la diffusione del nuovo tipo umano all´intero pianeta, a partire - di nuovo - dall´Africa orientale. Tutte le 5000 o 6000 lingue parlate oggi al mondo hanno analoga complessità, ed ogni bambino che nasce può imparare una qualsiasi di queste lingue: imparerà, semplicemente, quella che gli viene insegnata. Questi fatti ci suggeriscono che tutte le lingue esistenti siano derivate da quella che parlava l´unica piccola popolazione che a partire da 50.000 anni fa o poco più si è lasciata alle spalle l´Africa e ha colonizzato il mondo, rimpiazzando gli altri tipi umani che già ne abitavano buona parte e che sono invece scomparsi.
Nel corso di questa espansione, compiuta in parte per via di mare, assistiamo ad una straordinaria accelerazione nello sviluppo di nuove tecnologie, forse proprio grazie alla migliore comunicazione ora possibile all´interno dei gruppi umani. Si afferma una grande varietà di utensili di pietra, sempre più versatili e specializzati. Accanto alla pietra si lavorano il legno, il corno, l´osso, la corteccia e altre fibre vegetali. Si inventano strumenti fondamentali come l´ago per cucire e armi ingegnose ed efficaci per la caccia, come il propulsore, le bola, l´arco e le frecce. Compaiono le prime forme d´arte: pitture rupestri e piccole statue. Nasce senz´altro la navigazione, benché le prime imbarcazioni non si siano conservate. Si cominciano a trovare resti di abitazioni nelle regioni fredde: capanne costruite con le ossa dei grandi animali dell´epoca e ricoperte di pelli. Gli strumenti musicali potevano essere già stati inventati, in un tempo poco più antico.
In centomila anni la popolazione umana aumenta di mille volte, da qualche migliaio a qualche milione di individui. Con l´aumento del numero di esseri umani aumenta il numero degli inventori. Poi, diecimila anni fa, ecco le invenzioni da cui nasce ciò che chiamiamo "civiltà": l´agricoltura e l´allevamento degli animali, che permettendo di produrre il proprio cibo, determineranno un nuovo aumento della popolazione umana, che salirà ancora di mille volte, da qualche milione a qualche miliardo di individui. Sorgono le città, e con esse si affermano forme di divisione del lavoro e le prime gerarchie.
Le invenzioni degli ultimi millenni estendono la portata dell´azione umana sull´ambiente: i sistemi di irrigazione, i metalli, l´aratro, le prime macchine, come i mulini ad acqua. Compaiono sistemi di comunicazione e strumenti di trasporto: la scrittura, la ruota, il carro, imbarcazioni perfezionate. Poi, con l´età moderna, la bussola, le armi da fuoco, la stampa, la produzione in serie. La rivoluzione industriale trasforma la faccia del pianeta e genera una nuova ondata di mezzi di trasporto e di comunicazione: il treno, la nave a motore, l´auto, l´aereo, e in parallelo la trasmissione elettrica dei segnali: il telegrafo e il telefono, la radio e la televisione, il computer e internet.
Il motore a scoppio e l´elettrificazione tendono a fare della società umana un unico spazio globale. L´accelerazione esponenziale di scoperte e invenzioni ci porta così alla domanda su cui si è aperto questo secolo: il controllo acquisito sull´ambiente ci porterà a distruggere le nostre basi di sopravvivenza? o saremo in grado di sopravvivere alle applicazioni delle nostre stesse tecnologie?

(8 - continua)